Micky Guns ha 37 anni e una passione sfrenata per il blues a tinte scure, questo è quanto emerge dall’Ep ‘Blasted Lands And Ghosts’ con uscita prevista il 20 Novembre 2021. Le quattro tracce con le quali l’artista romano si presenta alle scene del blues di casa nostra delineano un viaggio intimo, evocativo, ad alto contenuto emozionale, dove racconta il suo grande amore per il blues scarno e minimale, registrato con l’ausilio di chitarre Dobro e Parlor.
I solidissimi quindici minuti di musica contenuti in questo Ep, da oggi – 20 Novembre 2021 – disponibile su tutti i digital stores, sono un ottimo biglietto da visita, dove le sonorità arcaiche si fondono con elementi e mood contemporaneo. Con queste domande, nel giorno d’uscita del suo Ep sulle piattaforme ho voluto scavare un po’ per far scoprire ai nostri lettori qualcosa in più sul suo conto.
Ciao Micky! Raccontami un po’ di te: hai 37 anni e ti presenti oggi con questo bell’Ep. Sono curioso di conoscere cosa ti ha portato al blues e quali tuoi precedenti trascorsi musicali.
Ciao, eccoci qua. Diciamo che il blues c’è sempre stato in quello che faccio. C’era anche quando non ne sapevo dell’esistenza. Divenuto grande, mi accorsi di cosa fosse quella cosa che mi richiamava. Il primo approccio con il blues fu grazie alla band che mi iniziò alla musica. Avevo nove anni e loro erano e saranno sempre i The Doors, che vestivano il blues di vari colori, scuri e profondi come un buco dove cadi ma non ti sfracelli mai. Andando avanti sono sempre stato attirato da tutto ciò in cui dimora il blues, è la matrice quella che conta, l’impronta. Puoi suonare anche un tango, se sei blues, quel tango suonerà blues. Inoltre amo molto il Delta blues, per me rappresenta la libertà in tutti sensi, dalle catene ai piedi, al modo di suonarlo senza troppe gabbie e paletti che in molti non hanno capito che non devono esistere. Adoro Robert Johnson, Son House, Skip James, John Lee Hooker e tanti altri. Ovviamente tutta la scena di Chicago, Detroit, Memphis. Per alcune cose, il modo di suonare di Lightnin’ Hopkins mi manda letteralmente ai matti, mi piace da morire. Ho sempre cercato di mettere l’impronta blues su ogni cosa, nelle band rock con le quali ho suonato, una su tutte in particolar modo e nel jazz, che da qualche tempo ho sentito l’esigenza di buttarmici dentro a capofitto. Attualmente suono in due progetti blues molto differenti tra loro e in più ho iniziato questo percorso solista, dove voglio esattamente fare ciò che hai ascoltato. Il blues per me è anche tanto buco nero dell’anima, potrei parlarne per notti intere…
Nella musica che proponi si riescono a percepire diverse contaminazioni. E’ un Ep marcatamente blues, ma le tracce lasciano trasparire dell’altro. Quali sono gli artisti da cui hai tratto ispirazione?
In realtà non mi sono ispirato a nessun in particolar modo. La maggior parte delle volte in cui compongo musica lo faccio perché voglio tirare fuori me stesso, e c’è sempre quel diavoletto sulla spalla che mi incita a fare musica che in realtà vorrei ascoltare. Ovvio che dentro ho tirato in ballo atmosfere blues, cliché del Delta, il modo stesso di suonare è preso da lì, abbinandolo a tutto ciò che avevo nel cuore e nello stomaco: dal blues, alle atmosfere scure, ai colori rosso, blu e, nero. Forse l’unico che ha rafforzato in me l’idea dello strumentale è stato Adriano Viterbini.
Emerge la tua voglia di voler divulgare qualcosa tramite la musica, come se questa fosse più comunicativa delle parole. Cosa vuoi che gli altri percepiscano attraverso le tue produzioni?
Questa è la domanda che vorrei mi venisse fatta tutti i giorni a tutte le ore. Dalla mia musica spero che ognuno prenda ciò che vuole, ciò che riesca a sentire, a vedere. In realtà, per me, questa piccola creatura il senso ce l’ha eccome. Ho voluto creare un parallelismo tra i cambiamenti della vita e la fine del mondo, dopo un disastro nucleare e ciò che ne rimane. Le terre esplose sono i luoghi che hai frequentato in una parte della vita, per anni o magari una sola volta, laddove il terreno ha assimilato le emozioni che hai lasciato cadere e che poi, dopo anni, non trovi alcun fiore cresciuto ma solo fantasmi di ciò che si era, nel bene e nel male. È questa la mia visione delle cose ed ecco ‘Blasted Lands and Ghosts’. Ad esempio, evito di passare nel posto dove ho condiviso tante cose con amici e persone che non vedo più. Evito perché vedo le scene di anni fa e loro non vedono me. Tutto cambia, sempre, in ogni momento. Ho scritto questo Ep in un momento in cui stavo facendo i conti con tante cose. Anche il fatto di fare brani scarni, minimali e strumentali ha il suo senso: una nuova parte di vita, è un nuovo inizio, appunto come lo sarebbe dopo la fine di una civiltà. In questi brani si sente il suono primordiale della ferraglia post nucleare lasciata a terra. Il ricominciare con ciò che trovi, con ciò che resta.
Come affronterai la scena live per presentare ‘Blasted Lands And Ghosts’? In solo o con una formazione di accompagnamento?
Per quanto riguarda la performance live ho varie idee. Sono stato ospitato per qualche apparizione di pochi minuti al momento, dato anche il minutaggio dell’Ep. Ho avuto inoltre l’idea di fare un’uscita con due batterie. In realtà, ciò che voglio creare è realmente ciò che mi piace chiamare “tribal blues”. Ovvio che salire su un palco con una chitarra e due batterie ai lati non è una cosa comune, è stato però molto divertente, senti il tumulto della terra. È davvero bello sviluppare questo linguaggio strumentale e vedere le persone incuriosite muoversi. Ho anche in mente di vestire diversamente il tutto, magari chitarra, contrabasso, batteria, oppure chitarra, hammond e batteria, o magari da solo con dei campanelli al piede. Voglio esser collocabile in più situazione diverse. Con due batterie però è il massimo. L’ idea è di girare molto, locali, festiva in Italia. Capiremo come muoverci strada facendo.
Fino ad oggi in che situazioni hai avuto modo di esibirti? La tradizione blues vuole anche si affrontino situazioni di piazza in stile ‘busker’, ti è mai capitato? Quali le tue sensazioni a riguardo?
Nella vita mi sono esibito su molti palchi, alcuni anche molto interessanti, Fino a circa tre anni fa riuscivo a suonare tutte le settimane o quasi, grazie anche a più progetti. Per quanto riguarda il busking, l’ho fatto poche volte e in situazioni di vacanza. Debbo dire che andò bene. È un discorso che voglio approfondire, non prima di aver capito alcune cose però: la strada ha le sue gerarchie, i suoi sistemi. Un po’ come tanti palchi d’altronde. Ovviamente il desiderio è quello di suonare il più possibile, ovunque. Suonerei anche dentro una cantina se vedessi tre persone vogliose di musica. Sì, suonerei tutte le sere in effetti.
Cosa ti aspetti dall’uscita di questo Ep? E’ un ‘antipasto’ per la produzione e uscita di un futuro album?
Da questo EP ovviamente mi aspetto che piaccia alle persone, non solo ai bluesmen, anche perché non credo sia un disco per puristi (e lo dico da purista). Ovviamente spero il contrario, che possa piacere anche a loro. Volevo trasformare in musica il tumulto interiore che ho provato in questi ultimi anni, di quando la notte guardi i demoni sul soffitto. È solo il primo gradino, il primo passo per iniziare il mio percorso in quanto Michele, non più solo chitarrista di una band, di un trio, di un duo, ma Micky Guns. Ho già in mente del nuovo materiale su cui sto lavorando e questo è un piccolo antipasto. Potrei parlare di questo progetto fino a domani. Auguro a tutti di trovare sempre la strada, di saltare nel vuoto se necessario, di combattere contro ogni cosa. Suonare, sempre, anche perché se un musicista non suona, lentamente muore. Questo non me lo toglierà mai nessuno.
Ciao Micky, grazie per il tuo a tempo.
Lorenz Zadro
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