Un ignaro pipistrello vola instancabile e indisturbato sopra la platea del Teatro Arcimboldi di Milano, il 26 Novembre scorso, divertendo il pubblico in fremente attesa. Forse ha percepito qualcosa di magnetico che pervade la grande sala : tra poco,infatti, inizierà uno dei concerti più attesi dell’anno. Finalmente, le luci si abbassano, un malinconico motivo si diffonde, ed ecco apparire Beth Hart in mezzo alla platea, scatenando la reazione del pubblico: strette di mano, baci, abbracci, perfino qualche baciamano, qualche immancabile selfie, mentre la cantante californiana inizia a cantare Don’t Explain, resa celebre dall’immortale Billie Holiday.
Un ingresso simile ci ricorda quello, indimenticabile, di Tom Waits in occasione del primo concerto di Firenze, quasi vent’anni fa. Beth, bellissima, con movenze sensuali sale lentamente sul palcoscenico, dove scatena tutto il suo entusiasmo, la sua gioia di vivere, trascinando un pubblico ormai già completamente conquistato. La accompagna il fedele trio che la segue abitualmente, Jon Nichols alle chitarre, Bob Marinelli al basso, Bill Ransom alla batteria. Tutta la scena però è per lei: il concerto procede alternando brani più lenti ad altri più ritmati, proponendo blues, soul, rhitm ‘n’ blues, spruzzate di funky, canzoni tratte dagli album Don’t Explain, Better Than Home, Fire On The Floor, Black Coffee, con cover di Bobby Blue Bland e di Memphis Minnie. Beth si muove con sicurezza nella penombra del palcoscenico, oppure siede ad un pianoforte sul quale sono accesi pochi lumini, trasmettendo felicità e calore umano. Ma il vero spettacolo è dato dalla sua voce, profonda, scura, potente come ultimamente abbiamo sentito solo da Susan Tedeschi.
Sottolinea i vari motivi, accennando sfumature dolci e vellutate, grintosi growl dalle venature aspre e ruvide, malinconiche e profonde modulazioni, testimonianza delle dure ed alterne esperienze di vita che, fortunatamente, appartengono al passato. Passato che però non dimentica né rinnega: al pianoforte, quasi volesse esorcizzare le cicatrici lasciate dal tempo, Beth racconta episodi della sua difficile esistenza, dedicando brani alla famiglia, soprattutto alla madre ed al marito (che, dice, le ha salvato la vita), raggiungendo, con Mama This One’s For You e con My California, toni di drammatico lirismo che possono ricordare l’ultimo Nick Cave. Il momento culminante della serata, però, a nostro modesto giudizio, lo raggiunge quando, seduta su uno sgabello vicino al bordo del palcoscenico, intona I’d Rather Go Blind. L’emozione e la commozione sono palpabili, lo spirito di Etta James rivive nella sua interpretazione intensa e profonda, gli spettatori ascoltano in silenzio, fino ad esplodere, alla fine del brano, in un meritatissimo e lungo applauso. Un giusto e dovuto ringraziamento a chi ti ha appena donato un pezzo della sua anima. Ci si avvia purtroppo verso il finale, il pubblico partecipa sempre con grande entusiasmo, e richiama Beth per un generoso bis finale: la cover di Chocolate Jesus, del “nostro “ Tom Waits, eseguita come una marcetta à la Kurt Weill, è la ciliegina che aspettavamo per poter lasciare soddisfatti ed eccitati il teatro. Prima di uscire dalla sala, solleviamo lo sguardo: l’eccitazione avrà sicuramente contagiato il piccolo pipistrello dell’Arcimboldi, che continua a volteggiare senza posa, piccolo inconsapevole protagonista di una magica notte.
Nuccio Origgi
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