Dai Soul Stirrers a Chuck Berry, da Clarksdale a Chicago e molto altro
di Matteo Bossi
Per ricordare nel modo più adeguato Robert “Bilbo” Walker, scomparso all’età di 80 anni, lo scorso 29 novembre, ci è parso sensato ricorrere alle sue stesse parole, ripubblicando integralmente l’intervista apparsa nel nostro numero 107.
Robert “Bilbo” Walker è davvero un personaggio particolare, sul palco sprigiona energia, lanciandosi con disinvoltura, dove l’istinto lo porta, divertendo il pubblico e divertendosi lui stesso. Mississippiano d’origine, ha viaggiato e vissuto in molti luoghi, suonando con numerosi musicisti, tra lo stato natale, Chicago e la California. Mancava dalle scene italiane da dieci anni, suonò infatti al Delta Blues di Rovigo nell’estate del 1998, ma nel luglio 2008 è stato il protagonista principale dell’ultimo week-end del Rootsway Festival. Dopo il suo breve soundcheck Robert, sempre impeccabilmente vestito, ha accettato volentieri di raccontarsi.
Che musica ascoltavi da ragazzo?
Sono cresciuto ascoltando Muddy Waters, B.B. King, Memphis Slim…sono nato a Clarksdale, Mississippi, alla Kline Plantation nel 1937. Però volevo diventare un cantante di gospel, andavo in chiesa e facevo parte di un coro, ma io volevo essere al centro dell’attenzione, c’erano troppe voci in un coro! Capii che mi sarebbe piaciuto essere un musicista, ma passò qualche anno e all’epoca non suonavo nessuno strumento, cominciai a strimpellare il piano e poi la chitarra fin quando a sedici anni mi sono trasferito a Chicago.
Qualcuno della tua famiglia faceva musica?
Mio padre cercava di cantare le cose che al tempo erano famose, sempre le stesse canzoni! Mia madre aveva un bella voce ed era brava a cantare gospel ed io volevo fare come lei. Da bambino avevo una voce terribile, perciò pregavo Dio che mi concedesse una bella voce. Così dopo qualche tempo mentre lavoravamo nei campi, raccogliendo cotone con mio padre, mi misi a cantare. Mio padre era più avanti di me, mi sentì e invece di dirmi di smettere mi incoraggiò a continuare a cantare. Questo mi fece felice. Alla sera così cantavo per i miei genitori e le mie sorelle e capitava che quando avevo dodici o tredici anni mio padre mi portasse con sé e mi facesse cantare davanti a suoi amici. Ancora non c’era Sam Cooke, ma io cantavo nello stile che sarebbe poi stato il suo da ragazzo avevo una voce simile. Tanto che, quando Sam Cooke cominciò a fare dischi con i Soul Stirrers molti nel Mississippi pensavano che fossi io a cantare con i Soul Stirrers. Avevamo una voce simile, sapevano che cantavo gospel e che ero andato a Chicago, ma sfortunatamente non era così. Tornando indietro invece, feci un tentativo per suonare con un gruppo locale, i Southerners che cercavano un chitarrista mi chiesero di provare con loro e in che tonalità volevo suonare, ma io non lo sapevo, avevo molto timore perché non ero abbastanza bravo da suonare in un gruppo. La sera dopo mi prestarono una bellissima chitarra Silvertone e suonai “Nearer My God To Thee”, in qualche modo riuscii a suonare correttamente e con il tempo giusto, non lo dimenticherò mai. Da allora ho suonato in tutti gli stili, blues, country, rock’n roll’…a modo mio. Quando Sam Cooke, lasciò i Soul Stirrers, fu la volta di Johnny Taylor poi quando anche lui se ne andò avevano bisogno di qualcuno, li chiamai proponendomi come cantante. Si ricordavano di me perché una volta avevo cantato con gli Highway Q.C.’s, così mi proposero di provare con loro domenica. Però mi offrirono 300 dollari per suonare con loro quella stessa data e allora erano molti soldi. Probabilmente mancai una grande occasione e oggi non suonerei blues, mi sarebbe davvero piaciuto essere un Soul Stirrer. Da allora persi completamente i contatti con i Soul Stirrers fino a qualche anno fa, quando li incontrai in Svizzera, ad un festival dove suonavo anch’io.
Cosa ti spinse ad andare a Chicago?
Perché volevo lavorare e comprarmi un’auto, ci sono rimasto tre anni. Poi ho vissuto per un po’ a Waukegan, Illinois e poi ancora nel Wisconsin prima di ritornare a Chicago, dove sono rimasto fino agli anni Settanta. Per un periodo decisi di fare solo il musicista suonando il sabato e la domenica a Maxwell Street, ma poi siccome avevo bisogno di guadagnare qualcosa anche durante la settimana cominciai a lavorare come camionista.
Come era l’atmosfera a Maxwell Street in quegli anni?
C’erano tutti i migliori musicisti. Magic Sam, Buddy Guy che al tempo era ragazzo e suonava spesso con Muddy, però veniva a fare un giro, magari per rubare qualche trucco ai musicisti che suonavano là; ricordo che c’erano poi Homesick James , Eddie Taylor ed anche Pops Staples si aggirava in zona a volte. Era veramente un posto unico, c’erano gruppi che suonavano ad ogni angolo, io e Luther Allison facevamo più soldi suonando lì che nei club. La prima volta che incontrai Magic Sam, mi pagò cinquanta dollari, per una mia canzone “I Been Down So Long, but I’m on my way back again”, che poi registrò. Questo accadde anche con altri, mi sentivano suonare, gli piaceva quello che facevo, lo modificavano leggermente e poi lo incidevano. Ad esempio “Hidaway” era una cosa che suonavo, poi la fece Magic Sam ed infine la incise Freddie King e divenne un successo. Spesso ci trovavamo a casa di Magic Sam e suonavamo tutta la notte, io Eddie C. Campbell, Willie James, Luther Allison…Io però ero l’unico che sapeva suonare nello stile di Chuck Berry e tutti cercavano di imitarlo; Berry aveva appena pubblicato “Promised Land” che era un pezzo non facile da suonare, salta sui bassi e ci sono parecchi cambiamenti.
Cosa ti spinse ad imparare così bene lo stile di Chuck Berry?
E’ una lunga storia, fu in un certo senso a causa di Little Monroe ( che sia Monroe Jones n.d.t.?) un musicista che ora abita a Jackson, Mississippi. Quando vivevo a Chicago Little Monroe veniva a casa mia la sera e gli insegnavo a suonare qualche pezzo di Jimmy Reed, infatti sapevo suonare solo qualche sua canzone e qualcosa di Muddy Waters. Il blues non mi interessava particolarmente e dopo un po’ gli dissi che non potevo più insegnargli nulla perché avevo un lavoro come camionista. Così non ne seppi più nulla per un quasi un anno. Poi circa un anno dopo il mio amico Little Buddy mi portò in un locale dove suonava Little Monroe, aspettammo per qualche tempo ed infine verso le undici uscì, ben vestito e scarpe eleganti. Gli avevano riferito che ero lì e insistette perché suonassi qualche pezzo, diceva a tutti che ero stato io ad insegnargli a suonare la chitarra. Disse: “ abbiamo qui un grande musicista, Robert Walker e suonerà qualcosa per voi”. Lui cominciò a suonare qualcosa di Jimmy Reed ma poi attaccò con “Sweet Sixteen” di B.B. King che allora era un grande successo e, caspita, era davvero bravo, suonava proprio nello stile di B.B. King. Il pubblico andò in visibilio, le donne in particolare. Quando venne il mio turno, la gente perciò pensava fossi bravo dato che avevo insegnato a lui, ma io non ero in grado di suonare in quel modo, salii e feci un pezzo di Jimmy Reed e tutti mi fischiarono; fu una vera umiliazione, scesi e me ne andai dal locale. Inoltre quella sera la mia ragazza se ne andò con lui! Pensai dunque che dovevo assolutamente rendergli la pariglia e allora mi convinsi che una nuova chitarra mi avrebbe aiutato e così ne comprai una ed anche un amplificatore, per suonare come Little Monroe. Mi esercitai ogni sera ma nessuno suonava come lui a Chicago ed era difficile batterlo se avessi suonato anch’io nello stile di B.B. King. Così non avrebbe funzionato, perciò pensai che dovevo inventarmi qualcosa, e dato che Chuck Berry era molto famoso al tempo pensai che potevo apprenderne lo stile, sia alla chitarra che sulla scena, lo vidi una sera in televisione e faceva proprio quello che avrei voluto fare io. Devo dire che mi ci volle diverso tempo per imparare bene, ma ascoltavo in continuazione “Johnny B. Goode” e “Little Queenie” e finalmente riuscii a padroneggiare quello che faceva; volevo a tutti i costi imparare anche le sue movenze sul palco e non era affatto semplice! Comunque quando mi sentii pronto tornai nel locale dove suonava Monroe e chiesi se si ricordavano di me, loro mi domandarono se suonavo ancora Jimmy Reed e pezzi Honky Tonk. Io dissi di si ma alla sera quando Little Monroe, che non sapeva nulla di ciò che volevo fare, mi presentò dicendo che Robert Walker era tornato. Io iniziai con “Johnny B. Goode” e suonai al massimo, ballando e cantando, facendo i passi all’indietro, uella sera fu un vero trionfo, tutti mi incitavano diventarono matti per Robert Walker ed anche se non avevo mai inciso nulla, il mio nome cominciò a circolare. Quella sera ero là con un’altra ragazza, ma c’era anche la mia ex che quando scesi dal palco mi disse che non stava più con Little Monroe. Tutto questo mi aiutò a farmi conoscere come musicista e anche da fuori città ottenni degli ingaggi.
Quando è avvenuto questa episodio con Little Monroe?
Più o meno a metà degli anni Sessanta.
Dopo hai lasciato Chicago?
Certo, non potevo mica restare sempre là! E comunque ritornavo spesso nel Mississippi. Al tempo Sam Carr suonava con Big Jack Johnson e Frank ( Frost ndt). Spesso suonavamo insieme io e Sam. Quando c’era anche Jack, lui suonava il basso e a volte la chitarra ritmica dietro di me. Poi cominciò a suonare la chitarra solista e divenne uno dei migliori, ispirandosi allo stile di Little Milton e B.B. King. Suonavamo nella zona di Tunica ed anche a Lula, senza nemmeno bisogno di provare i brani, ma sembrava che li suonassimo da sempre. Quando eravamo tutti insieme, io, Frank, Jack, Sam e Jeno ( probabilmente si tratta di Little Jeno Tucker, cantante mississippiano scomparso nel 2000 ndt) anche lui un ottimo chitarrista che sapeva suonare qualunque cosa di Little Milton, eravamo la migliore band del Mississippi, senza dubbio.
Però non avete registrato nulla insieme.
Purtroppo no, ma nessuno si interessava a noi al di fuori del Mississippi. Frank aveva registrato qualcosa e poi verso la fine degli anni Settanta Frank e Sam, registrarono con Jack come Jelly Roll Kings. Solo dopo registrarono ancora ma a volte le case discografiche non lasciavano incidere anche Sam, prendevano qualcun altro per la batteria. Fortunatamente le cose cambiarono quando mi trasferii in California e Jim O’Neal venne a vivere a Clarksdale, lui fece incidere molti di noi, Jeno, Super Chikan, Big Jack, io stesso. Se non fosse per Jim O’Neal molte cose non sarebbero successe, io e molti altri non avremmo registrato dei dischi e il blues a Clarksdale non sarebbe così popolare.
Tu però in quel periodo ti trasferisti in California, come conoscesti O’Neal?
Tornavo spesso in Mississippi come dicevo in precedenza, e fu Sam a dirmi che Jim mi cercava da tempo perché aveva sentito parlare di me e voleva propormi di realizzare un disco. Così una sera che suonavamo al Poor Monkey’s ( un juke joint nei dintorni di Marigold ndt) conobbi Jim O’Neal e Pat ( Patty Johnson probabilmente ndt). Ora c’è Roger ( Stolle ndt) che ha cominciato il suo lavoro dove Jim lo ha lasciato, ma dobbiamo rendere merito a Jim.
Cosa ti portò in California?
Beh fui ingaggiato per suonare là parecchi anni fa, si supponeva che restassi per due settimane ma poi conobbi un musicista che prima era nella band di Merle Haggard e voleva mettere insieme un suo gruppo, mi chiese di andare con lui e mi diede 250 dollari che è una bella somma. Così rimasi là e poi comprai una proprietà a Bakersfield, California dove vivo tuttora. Ma mi trovo molto bene qui in Europa, la gente dimostra di apprezzare questa musica più che in America. Ora torno spesso nel Mississippi e a Clarksdale il blues è molto apprezzato, sto anche pensando di comprare una casa così anche i miei figli possono venire e fermarsi quanto vogliono Una delle mie figlie, Estella Taylor è una brava cantante e presto la farò cantare con me al Ground Zero a Clarksdale e a Memphis, cerco di incoraggiarla. Ho avuto tutto dalla vita, da macchine, moto, cavalli…non ho mai bevuto né fumato, ho settantuno anni e sono ancora in grado di cantare e suonare bene grazie a Dio! Non posso proprio lamentarmi.
Poco fa raccontavi che il tra i dischi che hai inciso il tuo preferito e quello su Fedora, “Rompin’ and Stompin’”, come mai?
Per via delle canzoni che registrammo e per la band, veramente ottima con Big Chris ( Millar ndt) alla batteria, Jeff e mio cugino, prima che morisse (Clarence Walker ndt); una gruppo davvero solido. Chris aveva sentito il mio disco per O’Neal e volle sapere se ero disponibile a registrare qualcosa. Così facemmo e dato che il contratto prevedeva un solo disco, poi potei ritornare ad incidere un altro CD per O’Neal, ancora con Sam, a Chicago.
Hai intenzione di registrare un nuovo album?
Mi piacerebbe, spero di trovare i musicisti adatti per il suono che voglio ottenere, il bassista che ho adesso Anthony è giovane ma bravo ho suonato diverse volte con lui, ed anche questo batterista è bravo, peccato abiti qui in Italia!
( Intervista realizzata a Diolo di Soragna, Parma, l’11 luglio 2008)
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