L’unica data italiana di Valerie June, lo scorso 23 luglio al Magnolia di Milano, era segnata in calendario da tempo. Egualmente dotata di talento, fascino e personalità, Valerie è accompagnata da un quartetto di musicisti, il produttore dell’ultimo disco, Matt Marinelli è al basso, Ryan Sawyer alla batteria, Andy MacLeod alla chitarra e David Sherman alle tastiere.

Il repertorio attinge per larga parte proprio da “The Order Of Time”, a partire da “Long Lonely Road”. Il suono è un bell’impasto, senza sbavature, laddove anche le parti soliste per MacLeod o Sherman, concorrono  a valorizzare la sua musica. Luminosa e trasversale, piene di riferimenti incrociati a tradizioni contigue, le canzoni di Valerie June fanno ballare, “Shakedown” o pensare “Love You Once Made”. Sono vicine al country, come “Tennessee Time” o scheggiate di blues, “Man Done Wrong”. Dal primo disco recupera anche “Working Woman Blues”, trascinante” e “You Can’T Be Told”.

Foto di Matteo Bossi

A metà set Valerie resta sola per tre pezzi, tra i quali “Somebody To Love” con un piccolo banjo che lei chiama “the baby” e una ripresa della tradizionale “Worried Man Blues”. Spontanea e diretta, è proprio bello vederla sul palco e poi c’è la sua voce, dalla timbrica così singolare, pura, che poco bada all’estetica, lasciandosi andare più all’istintività, a volte iniziando a cantare già prima di avvicinarsi al microfono o mentre sta ancora prendendo una chitarra. Ogni tanto si rivolge al pubblico, racconta  di quando venne a Milano diciannovenne e si sposò col fidanzato di allora, poi divorziammo aggiunge con autoironia.  Torna la band per “If And” e  una rara cover di “I’ve Been Lonely For Too Long” (un pezzo soul in origine di Frederick Knight). “Vivo a New York e mi piace il rock, il punk, il blues, il country, il folk, il soul…non so che tipo di musica sia la mia, suono quello che mi piace”, premette Valerie prima di attaccare il pezzo che conclude il concerto, “Got Soul”, specchio di un’artista dallo charme contagioso e naturale. Peccato solo che il pubblico non fosse, ahinoi, molto numeroso, era quantificabile in un centinaio di unità, tuttavia questo non ha inficiato la piacevolezza del concerto e la disponibilità della June, fermatasi per foto e autografi con generosa simpatia.

 

 

 Matteo Bossi  e Silvano Brambilla     

 

 

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