Sono tornati, immancabili anche quest’anno, dall’8 al 17 Luglio i sapori, i colori e i profumi del Jazz mondiale, quelli che invadono il capoluogo umbro fin dal lontano 1973. Umbria Jazz Festival, in realtà come accade ormai da qualche anno, non è solo rassegna di settore, ma una vetrina di musica di qualità che abbraccia tanti generi e l’edizione 2016 non manca di questa peculiarità componendosi anche di grandi eventi pop. Sarà però anche ricordata per la corposa partecipazione di giovanissimi talenti del jazz che si presentano al pubblico specializzato e per l’alto tasso di cultura afroamericana e musica black presente nel cartellone. Buddy Guy principalmente, che torna ad UJ dopo che era già stato ospite in una lontana edizione insieme a Junior Wells. Il concerto che ha rappresentato la grande notte del blues è stato aperto dalla bravissima Ruthie Foster, che in Umbria già era passata sei anni prima, ma nel palco di Trasimeno Blues. Set impeccabile, come sempre, per la cantautrice texana che con la sua originale vena creativa presenta sul main stage uno stile personale, contaminato dal folk è dal soul.
Accompagnata dal fedele trio tra cui spicca il chitarrista Hadden Sayers, il repertorio esprime tutta la classe stilistica della cinquantaduenne in brani come “Up Above My Head (I Hear Music In the Air)” e la bellissima “Death Came A Knockin’ (Travelin’ Shoes)” ricordando holler e work song del passato. Sulle note di “Damn Right I’ve Got The Blues” si apre il set dell’attesissimo Buddy, che ancora una volta sorprende per l’energia che riesce a sprigionare. All’età di ottant’anni ancora ha voglia di sorprendere e divertire e poco importa se la fluidità non è più quella di stagioni passate, le emozioni sono sempre belle intense e il contagio è assicurato. “Boom Boom”, “I Just Want To Make Love To You”, “Fever”, “Hoochie Coochie Man” sono tra i tanti classici proposti in un’alternanza continua di interazioni con il pubblico e riff conosciuti. Omaggia come sempre Jimi Hendrix anche grazie al supporto strumentale del giovanissimo chitarrista Quinn Sullivan, diciassettenne presentato al pubblico di UJ, ma già da tempo insieme alla band di Guy. L’apoteosi arriva quando Buddy, inaspettatamente e per la poca felicità della security, decide di farsi una passeggiata tra il pubblico presente, creando un euforico caos e delirio generale che si può ben immaginare.
Festival nel festival è la consolidata forma dei free outdoor concert che anche nel 2016 fanno da colonna sonora nel centro storico attraverso i palchi dei giardini Carducci e a fianco della famosa fontana maggiore di Piazza IV Novembre. Tante le band che si susseguono ininterrottamente nelle dodici, e anche più, ore disponibili (dalle 13 alle 2 della notte); ed è proprio qui che si possono scoprire piccole chicche musicali come i Sticky Bones, realtà di casa nostra (romani) che con passione, studio e dedizione rievocano le atmosfere di un tempo passato, quello delle barrel-house tra riproposizioni più e meno note di Bessie Smith e tradizionali rigorosamente pre belliche. Per chi ama invece il suono di New Orleans, speriamo non si sia perso lo spettacolo di Sammy Miller & The Congregation, esclusiva del festival per la band che sta elettrizzando l’attuale scena di New York. Una vera congrega di giovani strumentisti, fra loro affiatatissimi, che con ironia e tanta maestria contaminano la tradizione della Louisiana con un originale approccio metropolitano. Sette elementi di cui tre agli ottoni, che riescono a coinvolgere il pubblico attraverso un mix di brass band e canti gospel, tra balli e ritmi incalzanti, il brano “Li’l Liza Jane” ne è il perfetto riassunto. In un’arena poco frequentata, a causa forse anche del freddo e della pioggia, Umbria Jazz, venerdì 15 luglio ha omaggiato la musica funk.
Preceduto da un intervento dei toscani Funk Off, Cory Henry ha aperto le danze con i suoi “apostoli”, The Funk Apostles, attraverso un groove forsennato dai risvolti anche psichedelici; l’influenza dei Snarky Puppy, formazione nella quale continua a militare, è chiara e ben presente. I soli del suo Hammond si mescolano a quelli dei sintetizzatori tra stacchi e cavalcate dei due batteristi presenti. Un funk che attraverso il linguaggio della old school, si contamina ai colori contemporanei. Affascinanti le versioni completamente “rivoluzionate” di “Proud Mary” e “Inner City Blues”; bravo e coinvolgente, Cory è stato un’altra bella sorpresa di questo UJ. Cercando e parlando di blues però, non possiamo non menzionare un concerto dì ventiquattro ore prima che apparentemente con la cultura afroamericana aveva poco a che fare, ma solo apparentemente. L’affascinante ed elegante Melody Gardot, figura collocata nell’attuale scena jazz, esordisce all’arena dopo due precedenti partecipazioni, sempre al Morlacchi. Per tanti una bella scoperta, per altri una solida conferma di un personaggio unico, caratterizzato da una storia altrettanto unica. Una vocalità intima che gioca su armonie sempre molto ricercate e patinate quelle della bella Melody, anche se rispetto al passato, presenta un suono più black e legato anche a soluzioni bluesy.
Tanti i brani proposti da “Currency Of Man” titolo dello scorso anno, a detta di molti la sua opera più completa. Sensuale, ammaliante, passionale e sexy la Gardot ha creato questo personaggio di donna quasi inarrivabile che non lascia il pubblico indifferente; la sua musica crea “immagini” e il brano evocativo “Preacherman” contenuto nel cd sopracitato, ne è il perfetto esempio. Certamente quello della Gardot non è un concerto di blues, ma nel suo suono e nel suo approccio i riferimenti a questa cultura sono sempre più evidenti. Probabilmente uno dei migliori set del Santa Giuliana nell’edizione 2016 di UJ. C’è un’altra bella versione di un classico della motown che piace citare, quella eseguita da Marcus Miller, Sabato 16 luglio, confermando ancora una volta la grande importanza di influenze che determinate culture hanno avuto e continuano ad avere su artisti che vengono collocati, forse anche ingiustamente, in determinati settori. Ritornando infine nei palchi del centro storico, doveroso è menzionare il bel set funk di Fred Wesley & The New Jbs e dello swing tipico di Ray Gelato & the Giants. Umbria Jazz ha chiuso i battenti anche quest’anno con i suoi numeri da record: dieci giorni, con oltre 230 eventi cui hanno dato vita 450 musicisti, una presenza valutata in circa 400 mila unità; 32 mila gli spettatori paganti (oltre 25 mila all’arena) per un incasso di 1,2 milioni di euro.
UJ si conferma, più che in passato, anche evento “social” con un fortissimo seguito in rete. Tutto ciò però non è bastato a placare gli animi del suo direttore artistico pronto a fare le valigie insieme alla sua creatura e a trasferirsi in luoghi che accolgano UJ come merita. Uno sfogo, il suo, durante la conferenza stampa finale dell’edizione 2016. I numeri da capogiro raggiunti, non bastano a placare le polemiche degli ultimi giorni. Continua Pagnotta: “É uno scandalo che a Uj vada meno della metà delle risorse per manifestazioni come ce ne sono tante in regione. Ci si dimentica del volto internazionale del Festival. Ci basterebbe un decimo dell’impegno organizzativo che il Comune ha messo per la rievocazione di un mese fa”. Umbria Jazz, non è solo un festival, ma una risorsa, storia anche italiana e siamo convinti che vada preservata e curata per questo l’augurio è quello di rivederci il prossimo anno sempre a Perugia e tra qualche mese ad Orvieto per la sua veste invernale.
Simone Bargelli
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