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Judith Owen – Essere sè stessa, senza mezzi termini

di Matteo Bossi

Nel corso di una carriera trentennale, la traiettoria di Judith Owen è stata certamente particolare. Come cantante, autrice, attrice e performer, l’artista gallese ha continuato ad esplorare senza porsi limiti la sua visione musicale ad ampio spettro. Negli ultimi anni, a partire dalla pubblicazione, nel 2022, di “Come On And Get It”, si è dedicata ad esplorare a fondo il repertorio di alcune delle sue artiste preferite di blues, rhythm and blues e jazz degli anni Quaranta e Cinquanta, figure quali Nellie Lutcher, Julia Lee, Blossom Dearie o Mary Lou Williams. Un progetto nato durante la pandemia e che ha poi portato in tour con un grande gruppo, denominato Gentlemen Callers, comprendente tra gli altri il pianista David Torkanowsky (Irma Thomas, Johnny Adams e innumerevoli altri), il batterista Jamison Ross (Snarky Puppy, Jon Cleary) e il trombettista Kevin Louis (Dr John, Pyeng Threadgill). L’abbiamo raggiunta via Zoom a poche settimane dal suo ritorno in Italia per un concerto al Blue Note di Milano.

Negli anni hai realizzato cose molto diverse, segno di un gusto eclettico e di una versatilità nell’approcciarsi alla musica piuttosto rara oggi. Come ci sei riuscita? Immagino non sia stata una strategia.

Non è stata affatto una strategia. Non è una cosa che renda la vita facile per un’artista come me. Proprio perché credo che il tuo lavoro come artista sia di andare dove devi, crescere, imparare, lasciarsi ispirare dalla vita, dalle cose, dalla musica, da tutto ciò che ti circonda. Sarebbe come dire a un pittore che può dipingere sempre e solo un soggetto e nient’altro. È folle. Eppure, in qualche modo quando veniamo al music business, l’industria è molto basata sull’incasellamento, in questo modo è più facile da vendere…e questo funziona perfettamente per tanti come modello di business. Ma non funziona per il tuo essere artista. Perciò non è che abbia scelto di essere così, è semplicemente il mio modo di essere. Credo di aver oltrepassato o sfumato molte linee perché io sono esattamente così. Amo molti tipi di musica e non potrei mai fare qualcosa che non sentissi come mio, che non mi venisse naturale. Il mio amore per la musica è vasto. Sono cresciuta con la musica classica da bambina, mio padre era un cantate lirico e mia madre amava la musica delle big band, in casa si ascoltava jazz e blues tutto il tempo. Ma poi anche musica americana, da Stevie Wonder a James Taylor e Joni Mitchell…di tutto. Perciò il mio cervello non funziona per compartimenti! E ho anche una componente teatrale. La musica è un linguaggio, un vocabolario e tutti questi stili sono come dialetti differenti. Tutto qua. Penso che il mondo della musica stia comprendendo che gli artisti possano fare più di una cosa e dovrebbero essere in grado e incoraggiati a crescere, imparare, espandersi…gli artisti che amo, come Stevie Wonder, sono quegli artisti che ponevano confini alla propria musica, non sentiva di dover essere solo una cosa, ha fatto quel che voleva e per questo è così straordinario.

Segui le tue regole, in pratica, non quelle tracciate da altri.

Qualcuno una volta mi ha detto, ed io ci credo, che o sei in questo business, diciamo nel campo della creatività, per un breve periodo e allora vuoi esplodere e aver un grosso hit e ad un certo punto sembrava io fossi destinata ad essere quella persona e avere una carriera da pop star e ovviamente è andata male quando il capo di una casa discografica se ne è andato…ma questa è un’altra storia. Lo so bene. Dunque, o sei nel giro per una breve esplosione oppure sei un artista per tutta la vita. Prendi la strada più lunga. È più difficile ma quello che ti succede è che lo fai per tutta la vita…è l’amore della tua vita. Non ripeti la stessa cosa per tutta la tua carriera. Nessuno si fa un problema perché Lady Gaga, per esempio, da artista pop, è anche attrice e performer, nessuno dice che non possa farlo e nessuno ha il diritto di dirlo. Dovresti poter fare qualsiasi cosa ti riesce bene. Questa è la mia convinzione. La miopia del music business consiste invece nel dire alla gente che non può fare qualcosa ma deve continuare a ripetere quel che fa guadagnare. Mi considero un’artista per la vita, continuerò a imparare e crescere, finché ciò che faccio mantiene un livello di eccellenza.

Viene anche dalla tua famiglia quest’apertura, visto che tuo padre ascoltava Beethoven o Puccini tanto quanto artisti jazz e blues. E in passato hai raccontato di come “Come On And Get It” abbia avuto origine dal divertimento che provavi ad ascoltare “Fine Brown Frame” da bambina e da cantati come Nellie Lutcher, Julia Lee…

Esattamente. Ti faccio un esempio per farti capire quanto sia stata aperta e inclusiva la mia infanzia riguardo alla musica. Al sabato mattina io e mia sorella andavamo al Covent Garden a vedere le prove di mio padre, Puccini o qualunque cosa fosse e ci gustavamo ogni secondo. Poi tornavamo a casa e mio papà era nella stanza della musica, con il piano e tutto il resto, e ascoltavamo Nellie Lutcher o Oscar Peterson, Frank Sinatra o chiunque altro. Queste donne, Nellie Lutcher, Julia Lee, Pearl Bailey, Dinah Washington, Blossom Dearie, Peggy Lee…tutte loro, ma in special modo Nellie e Julia mi hanno facevano impazzire, non stavo più nella pelle quando le ho ascoltate per la prima volta. Perché erano così disinvolte, sicure di sé, uniche, un suono che non aveva nessuno. Al mattino eravamo nel mondo della classica, nel pomeriggio in quello del jazz e del blues…il punto è che non erano mondi diversi, era tutta musica. Vedi, qualcuno come Oscar Peterson, Wayne Shorter o Wynton Marsalis sono tutti straordinari musicisti classici, non ci sono steccati, questa è l’arte della musica. Sapere fin dall’inizio che faceva tutto parte dello stesso mondo, se ti commuove e la ami…basta questo.

Judith Owen

Per qualche ragione artiste come Nellie Lutcher, Julia Lee o Rose Muprhy sembrano un po’ dimenticate al giorno d’oggi, sebbene alcune delle loro canzoni siano state hit rhythm and blues ai tempi.

Beh, la triste verità …ed ho visto dal vivo Nellie a ottant’anni quando sono venuta in America la prima volta, a fine anni Novanta. Sono diventata amica di sua nipote, che era seduta vicino a me, io non la conoscevo ma era a quello stesso concerto. E per me è stato straordinario perché mio padre non è mai riuscito a vederla, era un bambino quando l’ha ascoltata, le sue canzoni erano successi in Inghilterra. Perché dove andavano gli artisti neri per essere trattati con rispetto e avere una carriera? Venivano in Europa e in Inghilterra. E lei era una star, veniva inseguita dai fan e la polizia dovette scortarla in occasione dei suoi concerti a Londra, in teatri importanti. Ma è sorprendente come sia andata e venuta così velocemente. Credo la ragione sia perché era speciale, unica. Julia Lee è dimenticata anche perché aveva paura di viaggiare. Queste donne venivano percepite come novità, ma la differenza tra loro e una Dinah Washington è che Dinah aveva hit anche sul mercato per i bianchi e alla radio. Nellie e Julie hanno avuto hit ma non a quel livello, erano ancora per il pubblico afroamericano. Ha avuto un hit con Nat King Cole, “For You My Love”, ma non comparabile a Dinah. Ovviamente Peggy Lee era bianca ed era una stella, ma anche lei ha faticato, in America la gente pensava fosse nera. È folle. Ella Fitzgerald era diversa, una regina, cantava musica romantica a standard, era perfetta per il mercato dei bianchi. Ma Nellie o Blossom Dearie erano diverse, a sé stanti, non seguivano le regole prestabilite. Erano loro stesse ma non si era difficile metterle in una categoria precisa. Mi spezza il cuore che nessuno si ricordi di loro. A Mary Lou Williams è intitolato un festival a New York, perciò fortunatamente la gente se la ricorda, Rose Murphy invece non se la ricorda proprio nessuno. È interessante, ho recuperato molte incredibili informazioni su quel periodo. Sai Cab Calloway era una grande star, ma è stata sua sorella ad essere la band leader e la direttrice d’orchestra prima di lui, è stata lei ad insegnagli tutto. Ma è passata così…ancora una volta era vista come una novità passeggera, se non seguivi le regole era così. Ma sono fermamente convinta che queste donne abbiano aperto le porte a molte altre, sono state precursori per artiste come Nina Simone o Aretha, donna al piano…

Nellie Lutcher e Julia Lee suonavano il piano.

Si, tutte loro. E per, una bambina che suonava il piano, era sbalorditivo. Erano toste, un vero modello di riferimento per me. E dopo avere saputo di più sulle loro storie, dopo aver parlato con la nipote di Nellie, per esempio, il mio rispetto è cresciuto ancora di più…quello che ha ottenuto, considerando quanto era duro il business e ingiusto, non aveva nemmeno le royalty sui suoi pezzi. La solita storia. Il razzismo, nell’andare in tour nel Sud degli USA, lei e la band rischiavano di essere uccisi…le cose stavano così. È una cosa davvero incredibile una volta compreso tutto questo. Lo puoi avvertire nella musica, nella sua forza, se hai modo di vedere uno qualunque dei filmati in cui suona dal vivo a show televisivi.

Effettivamente rappresentano il passaggio tra la generazione di Ma Rainey e Bessie Smith e quella di Nina Simone o Aretha Franklin. Tuttavia, molti non conoscono le loro canzoni impertinenti e piene di ironia.

E sesso! Ecco un’altra cosa. Le brave ragazze come Ella cantavano canzoni romantiche, i classici di Gerschwin o Cole Porter. Ma loro cantavano della sessualità femminile in un modo divertente e ironico, ma rivolto al pubblico afroamericano. I bianchi erano troppo delicati, pudichi…era così a quei tempi. Per questo Dinah Washington ha avuto due carriere, una per il mercato dei bianchi e una per quello dei neri. Le canzoni che canto sono quelle per i neri e sono così divertenti, sexy e brillanti. E poi una come Blossom Dearie, a sua volta briosa e ironica e che voce! Dico sempre che aveva l’aspetto di una bibliotecaria e cantava come una femme fatale! Era incredibile. E sai che era una delle poche artiste bianche che piaceva a Miles Davis. La stimava per il suo stile al piano e il suo fraseggio. Era davvero speciale.

Judith Owen

Sulla differenza tra il suonare per il pubblico nero e quello bianco si potrebbe fare l’esempio dei due Live di Sam Cooke, il “Copa” più compassato e il “Live At The Harlem Square Club”, davanti un pubblico nero, più sudato e coinvolgente.

È proprio questo, sì! Ed è quello che vedi e ami oggi…è parte del rock’n’roll ed è quello che cercavano i Beatles, i Rolling Stones, tutti i gruppi della British Invasion, perché avevano visto Howlin’ Wolf, James Brown, Sam Cooke, Chuck Berry…tutti questi artisti erano senza mezzi termini vividi e sexy. E questo è stato il punto di partenza per la British Invasion, un bello shock per uno come Little Richard che lo aveva creato e non aveva avuto nessun ringraziamento. Elvis poteva scuotere le anche e mandare in visibilio le ragazze, farle urlare, a lui era concesso perché era bianco. Fosse stato un nero non gli sarebbe stato permesso. È una parte vergognosa della storia americana, ma è in questo modo che la musica si è evoluta, diventando quella che è, influenzando tutti noi. Penso a me che ascoltavo i dischi della collezione di mio padre e capivo che quella era la musica più eccitante che ci fosse. Da bambina ho percepito qualcosa che mi ha fatto venir voglia di essere così a mia volta. La sicurezza in sé, la forza…Devo dire che la cosa che mi rende più felice quando suono dal vivo è il numero di giovani donne presenti nel pubblico…e alcune di loro vengono da me dopo e mi dicono, “voglio essere come te quando cresco”. E io dico, “lo voglio anch’io, perché non si cresce mai!” Questo è il complimento migliore che possa ricevere. Mi sono sentita nello stesso modo verso queste donne e sono un po’ sconvolta perché non mi sono mai vista in questo modo, ma significa molto per me. Ma, non fraintendermi, arriva anche agli uomini. Io cerco di incarnare questo, mi hanno insegnato che bisogna essere sé stessi, fare con quello che hai senza copiare gli altri. È la bellezza di vedere donne sicure di sé e questo è sexy. Sul palco lo sono anch’io, meno nel resto della vita, sto migliorando, ma fatico, come tutti, ma sul palco mi trovo a mio agio con me stessa e mi diverto più di quanto non riesca ad esprimere a parole. In fondo vogliamo tutti sentirci bene con noi stessi senza doverci scusare per chi siamo.

Che impatto ha avuto New Orleans nella tua musica, è una città in cui vivi da anni.

Oh beh, qui è dove tutto è cominciato, il luogo di nascita del jazz, Louis Armstrong, Louis Prima, Mahalia Jackson e Professor Longhair e Dr John e la lista potrebbe proseguire a lungo. Il modo in cui New Orleans mi influenza è molto diretto. La città ha una scena musicale viva, fiorente e salutare, una grande differenza rispetto a qualunque altro posto dove è finita o è problematica, considerato che il Covid ha fatto chiudere molti posti. Qui puoi andare a vedere almeno trenta grandi cose, non solo di blues o jazz, ma di musica in generale. E la gente che non è di qui, come me, ci viene perché la musica è necessaria, vera, eccitante, nuova, non è qualcosa del passato. È tutto qui e in più c’è una comunità, un senso di condivisione tra i musicisti, tutti vogliono vedere la bellezza, condividerla ed esserne ispirati. E questo è insolito, raro. E poi attrae artisti, pittori, scultori, scrittori, romanzieri…persone molto creative. Ora ci stiamo preparando al Mardi Gras e la quantità di creatività che la gente dimostra è impressionante. Lavorano ai loro costumi per tutto l’anno…e non riesci a credere a quello che vedi, la musica, le marching band, il cibo, il senso dell’umorismo…c’è un gruppo di persone tutti vestiti da Elvis su scooter! Solo per dirne una. E non ci sono pubblicità, nessuno deve pagare, è fatto dalla gente per la gente. Un regalo da parte dalla città ai visitatori. Questo riassume il perché la città è così speciale. Se vuoi libertà artistica o se vuoi, come me, essendo inglese, lasciare da parte la rigidità, non sono una persona particolarmente rigida, ma sono comunque inglese, anzi gallese…ecco se vuoi liberartene, travestirti, indossare un costume, comprarti un cappello, è divertente e a nessuno importa. Tutti ti incoraggiano a celebrare la vita, che sia in una second line, la sensazione di gioia migliore al mondo, al Mardi Gras, al Jazz Fest…qualunque cosa. La città sa davvero come fare la limonata dai limoni! È stata colpita dall’oscurità, dal dolore, crudeltà, una storia buia, ma è riuscita a creare bellezza da qualcosa di terribile. Viene tutto da un posto strano e scuro, la schiavitù, l’influenza dei Caraibi, cajun, i bianchi, il sesso, i bordelli…da qui quel mix perfetto, un gumbo che ha cambiato lo scenario musicale per sempre. Per fortuna questo posto è ancora in grado di dare molto, il che per un posto tutto sommato piccolo, trecentomila abitanti, è formidabile. Non c’è un altro posto che abbi una simile concentrazione di creatività. Ho ancora casa in Inghilterra, l’avrò sempre, sono divisa tra questi due mondi, New Orleans è la mia casa americana dal 2007, prima facevamo avanti e indietro di continuo, perché l’adoro. Non capivo perché vivessimo a Los Angeles, o meglio, la ragione è il lavoro di mio marito.

E il disco lo hai registrato proprio a New Orleans.

Ero bloccata qui durante il Covid, così depressa…e a livello locale la gente suonava per strada, nei portici, tenevano concerti nei giardini, perché grazie a Dio è pieno di posti all’aperto. E ho deciso che questo era il momento giusto per fare quel che ho sempre voluto fare, vedere cosa veniva quando mi metto a cantare una canzone di Nellie Lutcher e “Fine Brown Frame” è stata la prima che ho provato. Volevo fare un disco pieno di gioia, che catturasse quella sensazione di magia. Anche il disco più recente, il Christmas album con la Big Band è fatto con lo stesso spirito. Vorrei che la gente nell’ascoltarlo sorridesse e fosse contagiata dall’energia, come quando suono dal vivo e vedo la gente ballare. Alla fine, in questo mondo strano e terribile, è quel che importa.


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