Scomparso nel 2021, James Harman è stato una figura singolare nel panorama blues, un musicista dalla spiccata personalità in grado di abbinare ad un blues ruvido al punto giusto, una scrittura originale, spesso fatta di racconti fulminanti e ironici. “Devono essere storie brevi per poter finire in una canzone. Mi dedico da sempre allo stesso soggetto, vale a dire, la condizione umana”, aveva detto al proposito nell’intervista che ci aveva concesso, pubblicata sul n. 145 de Il Blues.
La sua discografia, a partire dagli anni Ottanta, è fitta di testimonianza in studio e dal vivo, si distingue per costanza e qualità. Ricordiamo i dischi su Rivera, Rhino, Black Top e Cannonball, in cui si era circondati di alcuni dei più validi musicisti della West Coast, quali Hollywood Fats, Kid Ramos, Junior Watson, Stephen Hodges, Jeff Turmes o Gene Taylor, per non citarne che alcuni. Di valore anche, in tempi più recenti, il progetto Bamboo Porch e i lavori editi da Electro-Fi, improntati ad un blues dai sapori downhome, con il bravo Nathan James quale suo collaboratore principale. Dopo la sua scomparsa sono già stati pubblicati alcune testimonianze, a partire proprio da “Didn’t We Have Some Fun Sometime”, ancora su Electro-Fi e al recupero di alcuni concerti in Belgio risalenti al 1992 e al 2003 da parte della JSP.
Ad essi si aggiunge ora questa “The Bluesmoose Session” un live a Groesbeek, in Olanda del 2018, per l’omonima radio, in un piccolo locale, reso disponibile grazie alla New Shot pavese. Tuttavia, Harman non era accompagnato dal suo gruppo ma da una band belga, un quintetto denominato Shakedown Tim & The Rhythm Revue. Una formazione funzionale, guidata dal chitarrista Tim Ielegems, comprendente batteria, contrabbasso, piano e sax, capace di assecondare le atmosfere particolari dei brani di Icepick James. E la stima verso ragazzi belgi non si è tradotta solo in questo tour, Harman infatti compare come produttore di “Shakedown Th’owdown”, l’album del gruppo uscito nello stesso anno.
Un ensemble che si rivela adatto a rivestire le pieghe dei brani con buone dinamiche, attorno ad esse il suono pastoso dell’armonica imprime volentieri coloriture di un bianco e nero contrastato. Pensiamo soprattutto agli slow blues “Got To Call My Baby”, suonata con grande sensibilità da tutti o “Your Family Don’t Like Me” che ricordavamo sull’ottimo “Bonetime”, forse i due vertici di un set peraltro molto compatto. Una scaletta costituita da nove brani originali di James Harman e uno cantato e composto da Ielegems, che scorre liscia tra una ritmica “Leavin’ For Memphis” in cui l’armonica e il sax si intrecciano senza pestarsi i piedi, un suo vecchio classico, il midtempo asciutto “Crapshoot” e un bel boogie finale. Una serata e un live che abbina divertimento e sostanza, come del resto gli altri lavori di Harman, ulteriore testimonianza di un artista che il suo segno nel blues lo ha certamente lasciato. I tanti attestati di stima di colleghi e appassionati sono lì a dimostrarlo.
Matteo Bossi
Comments are closed