Sacromud si candida nel guidare la sparuta ma validissima pattuglia degl’artisti Rhythm and Blues italiani. Alla fonte battesimale, a Memphis, ci sono andati davvero, con tappa ai Sun Studios e relativo docu-film. Questo doppio dal vivo a Gubbio, il loro posto nel mondo, deve ribadire quanto di buono già visto nel loro primo disco. Sacromud ha scelto di non ripercorrere le strade, oh quanto gloriose ma onuste del Southern Soul, attraverso una scrittura personale della loro musica. I pezzi sono introdotti, in maniera piuttosto enigmatica e in lingua italiana, dal cantante Raffo Barbi, che dà un tono da crisi esistenziale ai blocchi di partenza, tanto che rieccheggiano qua e là, come in “The Hider and the Seeker” spunti progressive. Deve essere l’effetto dell’“Overground Blues”. Per fortuna c’è Alex Fiorucci, il tastierista che appena può tira di brutto sul Funky, come in “Ordinary Day” e su un gusto Gospel in “Dirty Dancing”. “Help me through the day” di Leon Russell alza il livello della contesa con una magnifica interpretazione di Barbi, piano liquido, e assolo di chitarra misurato. Finalmente arriva un Blues “Peace of Mind” (Ronald Horvath-Steve Gomes), uno slow di grande fattura con Maurizio Pugno, uno dei chitarristi più longevi della scena Blues Italiana, che da fondo a tutta la sua bravura sulle orme di Ronnie Earl e del suo album dal titolo omonimo.
“Pray for me” (Alberto Marsico/Mark DuFresne), un Soul Blues che potrebbe uscire direttamente da un album della Severn, vede uno strepitoso Fiorucci all’organo bissato da Pugno alla chitarra: uno dei momenti migliori dell’album. “Exodus” si distingue per i cori da Powwow e per una certa somiglianza con il sound dei Vintage Trouble. “Apple Slice” è una bella canzone di blue-eyed-soul, altro momento eccellente dell’album, un filo funestato da due stacchi alla King Crimson, incomprensibili nella dinamica del pezzo. Il tutto si conclude con “Time makes two”, cavallo di battaglia di Robert Cray dove si illustra ancora Fiorucci all’organo. Si potrebbe opinare che il pezzo sia troppo lungo e alla fine suoni troppo epico, una costante nei pezzi di Cray, ma ovviamente si deve tener conto del fatto che quest’album è dal vivo, presumibilmente anche poco, se non per niente, editato. Franz Piombino al basso e Riccardo Fiorucci alla batteria tengono botta anche nei momenti, pochi per la verità, un po’ flosci e alla fine quest’album risulta essere quasi un unicum nella musica italiana, pieno di fermenti e di riferimenti. Tanta ottima musica alla quale si può augurare solo molta fortuna, la quale notoriamente aiuta gli audaci. O almeno dovrebbe.
Luca Lupoli
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