eric bibb

In un filmato in cui Bibb suona “Take The Stage”, uno dei brani di questo nuovo lavoro, uscito lo scorso autunno su Stony Plain, evoca alcuni elementi filtrati nelle canzoni, i rimandi a Sam Cooke o Curtis Mayfield, presto interrotto dal suo amico/produttore Glen Scott che esclama, “…or Eric Bibb at his best!” E dopo aver ascoltato l’album non è difficile concordare con la battuta di Scott, confermando la validità di tutte le sue componenti, scrittura, arrangiamenti, produzione, in un bell’equilibrio tra stratificazione calibrata dei suoni e il calore insito nella sua personalità. Tutte cose che concorrono a fare di “In The Real World”, registrato in buona parte negli omonimi studi in Inghilterra, uno dei capitoli più validi proposti da Eric nell’arco di una carriera che si contraddistingue per costanza, nei temi, nei tempi e nei livelli.

La sua è la prospettiva di un osservatore partecipe e dotato si spirito critico, una persona di cultura stimolata da tanti incontri, ascolti, letture. Nella sua scrittura trova posto un accorato appello al cambiamento prima che sia troppo tardi, “Make A Change” e “no more water but the fire next time, next time has come”, canta in “Walk Steady On”, con un doppio riferimento al gospel e (forse) anche a James Baldwin. Eric Bibb ci ha anche abituato a saper raccontare, nello spazio di una canzone, vicende storiche e sociali, in passato ha scritto sui massacri di Rosewood e Tulsa, sull’omicidio di Emmett Till o sui migranti, questa volta in “Neshoba County” ci rammenta gli assassinii dei tre attivisti, Chaney, Goodman e Schwerner, avvenuti nel 1964 nell’omonima contea del Mississippi. Una vicenda ricostruita dal libro di William Bradford Huie, “Mississippi In Fiamme”, cui è in parte ispirato anche il film “Mississippi Burning”.

Musicalmente molto si deve, per tutti questi brani,  alle capacità di arrangiatore e polistrumentista di Scott, agli interventi di Robbie McIntosh alla chitarra (Pretenders, Paul McCartney) e alla presenza dei cori, oltre, beninteso, alla voce e chitarra acustica del leader. Tornando alle canzoni, nel cadenzato blues “Stealing Home” tratteggia un’altra figura iconica, Jackie Robinson fuoriclasse del baseball, primo afroamericano a giocare nella MLB con la maglia dei Brooklyn Dodgers. Mentre  “Best I Can” appartiene alle pagine classiche di Bibb, un picking gentile sulla chitarra acustica e le sottolineature degli archi, per una canzone quasi sorella di “Along The Way” su “Dear America”.

Commovente “Dear Mavis”, un ringraziamento ad una delle sue ispiratrici, Mavis Staples, la sua voce “in un mondo pieno di menzogne, quando la situazione si fa critica, diffonde amore”.  E d’altronde più di un brano di questo disco si presterebbe perfettamente ad essere interpretato dalla Staples, pensiamo alla pacata “If There’s Any Rule”, con versi come, “[…]children in danger where bullets fall like rain, in a world where big money buys the laws…if there’s any rule that’s gonna guarantee tomorrow it’s love” o ancora “The Real World” la canzone finale  che dipinge un mondo ideale, forse utopico, in contrasto con gli orrori e le storture dell’attualità. L’auspicio è ribadito con un brano ulteriore, una sorta di bonus, visto,  Eric ha infatti  inciso nuovamente la sua ballad “Victory Voices”, già su “A Ship Called Love”, in coppia con l’attrice britannica Lily James, che rivela una voce luminosa. Un ascolto che arricchisce e conferma come pochi artisti sappiano raccontare il passato e guardare al presente con la stessa visione empatica, profondamente  umanista,  di Eric Bibb.

Matteo Bossi

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