Probabilmente la maggior parte delle persone presenti al Teatro degli Arcimboldi aveva aspettato oltre un anno per ascoltare Beth Hart dal vivo, che poco dopo le 21 compare sorprendente da una entrata laterale, camminando lungo i corridoi della platea e coinvolgendo immediatamente il pubblico con il calore e l’intensità della sua voce.
La temperatura sale subito dopo con un paio di brani, fra cui la potente “Bad Woman Blues”, ma la cantante ritorna presto in mezzo al pubblico con l’allegra “Bang Bang Boom Boom”, album da cui attinge altri brani. Momenti di pura commozione quando ascoltiamo l’intensa “Sister Dear”, dedicata alla sorella, o quell’altro capolavoro che è “Rub me For Luck”: qui la voce riesce a toccare le corde dell’anima. Anche quando Beth Hart è dietro al pianoforte riesce ad accattivarsi l’attenzione del numeroso pubblico, come quando intona la divertente “Never Underestimate a Gal”.
Proprio dall’ultimo lavoro ci vengono proposti altri pezzi, come ad esempio “Wanna Be Big Bad Johnny Cash”, a cui segue un’intima interpretazione di “Country Road” per solo piano e voce. In “Woman Down” il bassista Tommy Lilly utilizza il contrabbasso, con cui intensifica la drammaticità del brano, ma è poi con la title track del recente “You Still Got Me” che la Hart regala uno dei vertici della serata: si accompagnata solo con il suo pianoforte per un altro momento da brividi, che si merita un’interminabile sequenza di applausi, prima di richiamare gli altri membri della band per proseguire la sessione unplugged. “Sugar Shack” viene arricchita da un’incredibile performance del batterista Bill Ransom alle percussioni, mentre “Fat Man” continua la sessione acustica che si conclude lasciando spazio alla potente “Savior With a Razor”, che chiude temporaneamente il concerto.
I quattro si congedano per pochi minuti prima di rientrare per il bis, che si apre con l’omaggio ai Led Zeppelin attraverso “No Quarter” e continua poi con “Baby I’m Gonna Leave You”; giunge poi la superba interpretazione di “I’d Rather Go Blind” di Etta James, per altro arricchita da un assolo magistrale del chitarrista Jon Nichols: qui tutte le qualità vocali ed espressive di Beth Hart sono decisamente messe in risalto.
Il saluto finale è però lasciato a “Thankful”, canzone dai forte tratti autobiografici, che la cantante offre seduta sui gradini del palco, accompagnata solo dalla chitarra acustica alle sue spalle, degna conclusione di una grande serata, molto attesa. Al termine salgono sul palco anche gli altri due musicisti e altri elementi del tour, fra cui il road manager Scott Guetzkow, suo marito. La notevole capacità di passare dalle note più profonde a quelle più alte con grande disinvoltura confermano Beth Hart come una delle migliori voci, non soltanto del panorama blues mondiale.
Luca Zaninello
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