johnnie taylor

Nell’anno in cui avrebbe compiuto novant’anni esce una per Craft / Stax una raccolta di dodici brani dedicata a Johnnie Taylor, ma non si tratta di una compilation in stile “Greatest Hits”, peraltro ve ne sono già state alcune in passato, ad esempio nella serie “Stax Profiles” o più recentemente “Stax Classics”. Questa volta la scelta è ricaduta su una selezione di alcuni suoi pezzi più vicini al blues, evidente fin dal titolo, “One Step From The Blues”, un rimando nemmeno tanto velato al capolavoro di Bobby Bland, che distava giusto due passi dal blues.

Una scelta interessante, che mette a fuoco un lato della personalità musicale di Taylor, cantante dal talento limpido e dal carattere non sempre facile, formatosi, come tanti colleghi in primis il suo amico e mentore Sam Cooke, nel gospel. Giovanissimo entra infatti a far parte degli Highway QC’s e poi sostituisce addirittura Cooke nei Soul Stirrers. È ancora Cooke, una volta finita l’esperienza nel gospel, a chiamarlo alla sua etichetta SAR, per la quale fa in tempo ad incidere alcuni brani prima che la morte di Sam ponga fine a tutto. Nel gennaio 1966, grazie ad Al Bell, suo estimatore, firma per la Stax e incide subito un promettente singolo, “I Had A Dream”, (firmato da Isaac Hayes e David Porter), incluso anche nella presente raccolta.

Il repertorio di Taylor era spesso incentrato su storie di tradimenti e passioni più o meno clandestine, tanto che gli venne cucito addosso l’appellativo di “philosopher of soul”, cantate con vellutato vigore e un certo ironico disincanto, qui ne troviamo alcuni esempi come “Cheaper To Keeper” o “Somebody’s Sleeping In My Bed” (entrambe, curiosamente, riprese da Buddy Guy in “Bring ‘Em In”). Ma Johnnie era maestro, a sua volta, nel fare propri brani di altri colleghi, il caso più eclatante è forse “Part Time Love” una hit del quasi omonimo Little Johnny Taylor per la Galaxy nel 1963, incisa poi anche  da JT nel 1969. O ancora “Steal Away” scritta e portata al successo da Jimmy Hughes e divenuto col tempo uno standard interpretato da moltissimi artisti (Ann Peebles, Clarence Carter, Etta James…solo per citarne alcuni). Entrambe le riascoltiamo con gran piacere anche qui.

Un significato particolare lo riveste inoltre la ripresa di “That’s Where It’s At” dell’amico Cooke, in cui è percepibile sia l’intento di omaggiarlo sia quello di lasciare comunque un proprio segno distintivo nell’esporla. Anche “I’d Rather Drink Muddy Water” può ben essere considerato un classico del repertorio americano e la versione di Taylor non sfigura affatto se confrontata con quelle, coeve, di B.B. King o Lou Rawls. Segnaliamo infine la presenza di “Woman Across The River” (la firma è di Bettye Crutcher e Allen Jones) diventata anche’essa un riferimento, se ne contano versioni di Freddie King, Little Milton ma anche degli Allman Brothers. Taylor la incise nel 1968 sull’Lp “Who’s Making Love…” ed è, neanche a dirlo, cantata magistralmente, con  un plauso  anche al lavoro dei musicisti di casa Stax (Cropper, Dunn, Al Jackson…).

Un breve ma valido ripasso dell’arte canora di Johnnie Taylor e per qualcuno che lo conosce meno un invito a (ri)scoprire la sua ricca discografia (dopo la Stax ha inciso per Columbia e Malaco) partendo proprio da qui e proseguendo (magari) con lo stupendo “Live at The Summit Club”.  Ricordiamo infine che la figlia più giovane di Johnnie Taylor, Tasha, è a sua volta una cantante, chitarrista (e talvolta attrice) che ha girato anche in Europa.

Matteo Bossi

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