In quasi trent’anni, l’edizione da poco conclusasi del Lucerne Blues Festival 2024 è stata la numero 29, la Panoramasaal del Grand Casino di Lucerna ha visto succedersi sul palco tantissimi artisti, che hanno animato serate musicali memorabili per i tanti appassionati di blues del pubblico. E questi due elementi, uniti ovviamente ad un’organizzazione impeccabile per accoglienza e rispetto degli stessi, hanno fatto la fortuna del festival elvetico anche oltreoceano, è indubbiamente divenuto uno dei luoghi dove un musicista aspira a suonare e, potendovi, a ritornare. È stato il caso anche per questa cuvée 2024, caratterizzato anche questa volta da un mix di volti nuovi, qualche ritorno e qualche scoperta, sempre alla ricerca della buona musica di qualità.
La sera di giovedì 14 novembre tocca a Big Harp George inaugurare la tre giorni musicale. George Bisharat, di origine palestinese, già procuratore e docente di diritto, vive nella Bay Area ed è uno specialista dell’armonica cromatica. Qui è alla testa di un sestetto, con una sezione fiati (sax e trombone) e il chitarrista Jules Leyhe a fare da contrappunto al leader. George ha pubblicato diversi album nel giro di pochi anni, in maggioranza registrati allo studio Greaseland di Kid Andersen, con uno stuolo di validi musicisti e brani originali. Ne he proposti una buona selezione stasera, quali “When I First Held Valerie”, dedicato alla figlia o la spiritosa “My Dog Is Better Than You”. Una gradevole introduzione, sebbene a tratti la consistenza del gruppo e le interazioni tra fiati e armonica ci siano sembrate perfettibili.
Di seguito un ensemble da uno stato, il Texas, che ha spesso visto valide formazioni presenziare qui al festival. Nel quartetto degli Austin All Stars infatti figurano alcuni veterani dal lungo curriculum, come l’ottimo organista Nick Connolly, in appoggio, quest’anno, al cantante e chitarrista Mike Keller. Tra i protagonisti delle scena texana, Keller ha in passato prestato i suoi talenti prima nella band di Doyle Bramhall, poi con Marcia Ball e Fabulous Thunderbirds, tra gli altri. Inoltre con suo fratello Corey, batterista, in passato ha registrato e suonato come Keller Brothers. Il set si apprezza per la grande spontaneità, con Mike che chiamava all’impronta i brani e le tonalità e la band che lo seguiva senza sforzo apparente. Il repertorio prevedeva qualche brano suo ma anche diversi omaggi ad artisti quali Lazy Lester o Eddie Taylor, cantati con voce ora declamatoria ora più accorata. Buona la resa finale di “All Of Your Love” di Magic Sam.
Chiude la serata l’orchestra capitanata da Anthony Paule, un gruppo di dieci elementi ben noto, ad esempio, ai frequentatori del festival di Porretta, dove ha officiato per anni come house band. Paule è dunque abituato a lavorare con grandi cantanti, pensiamo anche alle sue collaborazioni con i compianti Frank Bey o Wee Willie Walker, la band include una puntuale sezione fiati e tre coristi, Larry Batiste, Omega Ray e Nona Brown e una sezione ritmica molto rodata, Tony Lufrano alle tastiere, Endre Tarczy (basso) e Kevin Hayes (batteria, già per circa quindici anni nella Robert Cray Band). Il cantante principale ora è Willy Jordan, in passato al fianco di Elvin Bishop nel Big Fun Trio (anche in veste di percussionista), dotato di presenza scenica esuberante e di una rotonda vocalità soul. Da una conoscenza a bordo di una blues cruise, è nata la collaborazione tra Paule e Jordan che ha portato alla realizzazione di “What Are You Waiting For?”, un bell’ album appena uscito per Blue Dot Records. Ed è proprio, per la quasi totalità, questo lavoro che costituisce l’ossatura del repertorio stasera, dalla vivace “That’s Not How The Story Goes”, alla sbarazzina canzone del titolo fino alla ballad dolente “After A While” (che già cantava Willie Walker). È un concerto molto divertente e godibile in cui ogni componente della band, meglio dell’orchestra, molto precisa, ha modo di farsi valere, dai coristi, ognuno protagonista di almeno un brano, con una menzione per Larry Batiste e gli accenti funky di “Back Up Plan”, la chitarra del leader che oltre ad un lavoro di cucitura si ritaglia un paio di assolo di pregio.
Venerdì sera, una bella sorpresa, visto che era probabilmente poco nota ai più, si è rivelato il concerto di Delanie Pickering, originaria del New Hampshire ma stabilitasi da qualche anno a Martha’s Vineyard. Qui suona regolarmente, tra gli altri, con Johnny Hoy & The Bluefish, una formazione che, con qualche variazione, calca le scene dagli anni Novanta. Tra i punti fermi c’è il tastierista Jeremy Berlin, qui presente nel gruppo che accompagna Delanie, mentre la sezione ritmica è costituita dai bravi francesi Denis Agenet (batteria) e Abdell B Bop (contrabbasso). La band gira bene, Pickering canta e suona la chitarra con gusto, belle dinamiche e uno stile economo e pulito. Tra una ballad un po’ anni Cinquanta, un boogie conciso o un blues rotondo, il suo set scorre via piacevole e ci fa conoscere una giovane artista dal sicuro potenziale e con un modo gentile, quasi schivo, di condurre la band, lasciando parlare la musica.
Segue un altro quartetto capitanato da un’altra donna, la texana Ruthie Foster, accompagnata dagli ottimi Larry Fulcher (basso), Brannen Temple (batteria) e Scottie Miller (tastiere). Ruthie che ha da poco pubblicato un nuovo lavoro, “Mileage”, su etichetta Sun e prodotto da Tyler Bryant, possiede una grandissima voce, è raro vedere una cantante che abbia una tale naturalezza. E questo le consente di spaziare con facilità dall’iniziale, beneaugurante “Brand New Day” a blues quali “That’s Allright” (Crudup) o “Richland Woman Blues” (Mississippi John Hurt). Molto bello l’omaggio agli Staple Singers con “The Ghetto” e da brividi la sua interpretazione di “Grinnin’ In Your Face” a dimostrazione di quanto basti la voce umana per emozionare. Specialmente quando la voce è di questo calibro. Prosegue con una soul ballad “Phenomenal Woman” (da un testo di Maya Angelou) o “It Might Not Be Rigth”, scritta con William Bell. Nel finale Ruthie e i suoi si divertono con passaggi reggae, “Real Love” e il bis, a grande richiesta, “No Woman No Cry”. Ovazione e applausi meritatissimi.
Non facile il compito per Darrell Nulisch e i suoi soci, che prendono possesso del palco poco dopo. Sono un gruppo compatto ancorato dal canto del leader e dalla chitarra dell’ospite speciale Alex Schultz. Poco più che settantenne, Nulisch è un vocalist molto considerato, con una lunga carriera e diversi dischi, ricordiamo una buona serie di album su etichetta Severn ad inizio millennio, ma anche spesso al fianco di James Cotton dal vivo e su disco. Egualmente a suo agio con blues, R&B e soul, Nulisch, che suona anche seppur con parsimonia nell’armonica, varia tempi e atmosfere, assecondato puntualmente dalla band e da Schultz un chitarrista di comprovato valore in grado di elevare i gruppi con i quali si trova a suonare con assolo di gran fattura. Buone, tra le altre cose, le rese di “Strange Things Happening” (un pezzo di Percy Mayfield che suonava anche Cotton) oppure “Pouring Water On A Drowning Man”.
Al palco del Casineum, al piano superiore, nel frattempo si fanno apprezzare le atmosfere acustiche intessute dal trio di Amaury Faivre, francese ma residente in Svizzera. Faivre porta in dote il suo ultimo album, “My Americana”, da cui attinge episodi avvolgenti quali “Take My Heart” o “Fooled Again”, ben condotte dalla voce e dalla chitarra/armonica del leader.
L’ultima sera tocca a Doug Deming & The Jewel Tones aprire le danze. Deming, chitarrista e cantante, originario di Detroit, ha pubblicato diversi dischi alla testa della sua band, l’ultimo dei quali è, curiosamente, un Live registrato in un’altra città svizzera, Basilea. Il trio si fonda sulla chitarra del leader e sulla sezione ritmica, il contrabbasso di Andrew Gohman e la batteria di Zack Pomerleau, con la particolarità che quest’ultimo suona anche allo stesso tempo l’armonica, come ricordavamo anche di aver visto fare a Hezekiah Early anni fa. Un set tra blues, jump e rock’n’roll, suonato con professionalità, “Momma Didn’t Raise No Fool” per esempio, anche se forse un filo troppo lungo, nel complesso.
Li segue la band di Nick Moss, una delle migliori formazioni della scena attuale di Chicago, imperniata sulla voce e la chitarra del leader, l’armonica di Dennis Gruenling (che ha tra l’altro suonato spesso con Deming in passato) e una solida sezione ritmica formata da Pierce Downer e Rodrigo Mantovani. Per questa occasione possono anche contare su un valido ospite, il giovane pianista Ben Levin, originario di Cincinnati, Ohio, che si fa apprezzare inserendosi con bravura e rispetto. Ma è tutta la band che gira bene, Moss ha ironia e coinvolge il pubblico, Gruenling suona con perizia ed energia l’armonica senza strafare, la sezione ritmica fa ottimamente il suo. Originale anche il repertorio, spiccano anche i brani dall’ultimo disco, uscito lo scorso anno per Alligator, come la maliziosa “Get Your Back Into It!”, “It Shocks Me Out” o “Lonely Fool”, ma anche un bellissimo slow blues, “Stone Crazy”, condotto con sapiente uso delle dinamiche sulla chitarra e una ottima combinazione di tensione e alleggerimento. Moss dimostra grande maturità e dedizione alla causa del blues, portando a termine uno dei set migliori di questa edizione.
Divertente il set della NOLA Blue Revue, che celebrava i dieci anni dell’etichetta creata da Sallie Bengtson, allineando alcuni dei suoi artisti. In primis Benny Turner (basso e voce), già apprezzato qui qualche anno addietro, ottantacinquenne in gran forma, la nota cantante texana Trudy Lynn e Lil’ Jimmy Reed, di recente titolare di un disco prodotto proprio dal sopra menzionato Ben Levin. Marlon Davis e Shawn Allen (rispettivamente batteria e tastiere) completano il gruppo, garantendo solide fondamenta. E il chitarrista? Non ce lo siamo dimenticati, anzi, eravamo curiosi di vederlo dal vivo, visto che rispondeva al nome di Harrell Davenport. Il soprannome Young Rell non è certo casuale vista l’età di diciassette (!) anni e la facilità disarmante che dimostra, nel suonare con artisti che potrebbero tranquillamente essere suoi nonni. Molto attento e sicuro, Davenport è giù più di una bella promessa, da rivedere in proprio, magari. Poco importa in fondo che tre senior, che si alternano al canto, propongano una serie di classici in una sorta di medley scorrevole e quasi ininterrotto. Iniza Turner con sapida esperienza, poi chiama Lynn, come sempre di grande impatto scenico e infine il testimone passa a Reed, che lo tiene con convinzione ed simpatia, Il set coinvolge il pubblico per la sincerità e l’autoironia dei protagonisti, “la gente dice che siamo old school”, ma siamo tostissimi”, esclama la Lynn, usando, a dire il vero un’espressione un filo più colorita in inglese. Tanti applausi e lunga vita ancora alla NOLA Blue e ai suoi artisti.
Sul palco del Casineum come di consuetudine è la volta del blues Europeo, e quest’anno tocca a Dan Mudd feat. Bearbeat, un duo svizzero che a Braga all’European Blues Challenge ha visto il premio come miglior solo/duo della competizione internazionale. E dietro il nome dal richiamo mississippiano si nasconde Daniele Gigli, bluesman italiano che ha trovato modo di esprimere la sua creatività al di là delle alpi, affiancato e supportato da Dominik Liechti. Con la sua voce roca dal tocco alla Joe Cocker, ma piena di energia e potenza espressiva, Dan accompagna il pubblico in un incredibile viaggio musicale, riuscendo a catturarlo, non solamente per campanilismo, ma con classe e mestiere fin dalle prime note.
L’ultimo set del sabato è solitamente appannaggio di un gruppo zydeco, anche quest’anno c’è una band proveniente dalla Louisiana, il quartetto della Tyron Benoit Band. La sala del Casino, si svuota un po’, ma loro fanno del loro meglio per divertire, muovendosi in un ambito non prettamente tradizionale ma appunto un mix di rock, blues, cantautorato e zydeco, (ricordiamo anche una cover di “To Love Somebody”). Il leader è al canto e all’accordion, è spalleggiato dal valido chitarrista Randy Ellis (già con Chubby Carrier), mentre Scott Morrison e Stephen Randall costituiscono la sezione ritmica.
Anche questa edizione finisce e ci vede rientrare in una domenica di timido sole, dopo alcuni giorni uggiosi. Rimane sempre bello e affascinante lo storico ponte di Lucerna, una città quest’anno illuminata in anticipo dalle luci natalizie, e in cui l’aperura dei mercatini di natale e della pista di pattinaggio per bambini forse ha contribuito a calamitare parte del pubblico lontano dal Casinò e dal blues. Un peccato perché la presenza di un palco all’aperto dedicato a band giovani proprio nei mercatini (accanto alla stazione) avrebbe potuto far nascere l’idea di un gemellaggio, visto che di blues natalizi ne sono stati scritti tanti, magari un’idea da esplorare per il prossimo anno!
Matteo Bossi e Davide Grandi
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