Warren Haynes intervista esclusiva per Il Blues Magazine

Abbiamo avuto l’opportunità di poter intervistare nuovamente Warren Haynes (leggi qui la precedente), artista di enorme spessore e come sempre assai disponibile a trasmetterci la sua passione per il blues e per la musica americana.

Soul Searching

di Matteo Bossi

Ne è passato di tempo dall’ultimo disco solista di Warren Haynes, visto che “Ashes And Dust”, il precedente, risale al 2015. E nove anni sono di certo un lungo periodo, soprattutto per un artista come lui, sempre molto attivo e coinvolto in differenti progetti e collaborazioni.

E “Million Voices Whisper” (in uscita su Fantasy/Universal), questo il titolo del nuovo lavoro, tratto da un verso del brano “Day Of Reckoning” è un altro bel capitolo di un viaggio musicale continuo e stimolante, che riesce a tenere insieme senza fatica diversi elementi.

Si tratta innanzitutto di un disco molto soulful, non è difficile immaginare alcune di queste canzoni interpretate da classici cantanti soul. “Penso sia un album molto influenzato dalla soul music.” Afferma Warren Haynes all’inizio della nostra conversazione. “E il soul è stata la mia prima influenza, ho iniziato a cantare da giovanissimo e all’epoca ascoltavo più che altro soul music. Four Tops, Temptations, Sam & Dave, Wilson Pickett, Otis Redding…è così che ho imparato a cantare, molto prima di cominciare a suonare la chitarra e di scoprire il rock.

Perciò quella musica è rimasta con me per tutta la vita. E penso che con questo disco, come già con “Man In Motion”, molta di questa influenza sia emersa. Il che va benissimo per me. Certo si combina con molte altre influenze e anche se non è soul music in senso stretto, c’è un filo conduttore lungo tutto l’album.”


Warren Haynes per Il Blues Magazine

Warren Haynes (per gentile concessione)


L’intervista a Warren Haynes

Inoltre, sembra che i testi siano incentrati su temi di empatia, amore, connessione tra le persone. Come già per l’album dei Gov’t Mule dello scorso anno, “Peace…Like A River”.

Si, concordo su questo. Penso che negli ultimi anni mi sono concentrato maggiormente su questa tipologia di tematiche, cercando di non cadere nella trappola di scrivere una serie di canzoni sul lockdown per il Covid e su tutto quello che tutti stavano attraversando. Credo che stiamo affrontando dei cambiamenti insieme e perciò sia meglio focalizzarci su come gestirli al meglio e come uscirne, cosa tenere con sé e cosa lasciar andare.

 Come si è sviluppato il processo di scrittura per questo lavoro? Alcuni brani sono scritti in collaborazione con Derek Trucks, altri con Jamey Johnson o Lukas Nelson.

Beh, la maggior parte delle canzoni sono state scritte negli ultimi due o tre anni…un paio sono più vecchie, al tempo del lockdown per Covid, “From Here On Out” e “Day Of Reckoning” risalgono sicuramente a quel periodo. “Till The Sun Come Shining Through” risale, a sua volta, a qualche anno fa, ma le altre sono tutte nuove. Le canzoni che ho scritto con Derek sono nuove, sono andato nella sua fattoria in Georgia e abbiamo passato tre giorni insieme, soltanto noi. Mike Mattison della Tedeschi Trucks ci ha raggiunto per un breve periodo, ma per il resto abbiamo trascorso tre giorni a scrivere musica. Ed è stato meraviglioso. Abbiamo scritto quattro o cinque canzoni, due di esse sono su questo disco, “These Changes” e “Hall Of Future Saints”. La canzone cui ho lavorato con Lukas è stata scritta qualche tempo prima ed anche quella con Jamey Johnson, più o meno allo stesso periodo abbiamo trascorso del tempo insieme. Quasi tutte le canzoni le ho scritte a casa su una chitarra acustica o elettrica, da solo, e di molte non avevo nemmeno realizzato un demo. Perciò quando siamo andati in studio le ho semplicemente cantate e suonate alla band e le abbiamo interpretate strada facendo. Ed ero molto aperto nel lasciare che le canzoni prendessero qualunque direzione volessero. Ho cercato di non fissarmi su preconcetti o su come le canzoni dovessero suonare. Ed è stata una bellissima esperienza perché  ogni volta che lavori con grandi musicisti succedono molte sorprese.

E in effetti hai sempre avuto grandi musicisti su ogni album solista, per esempio su “Man In Motion” avevi Ian McLagan, George Porter o Ruthie Foster. Questa volta John Medeski, Terence Higgins o Greg Osby.

Sì, e il bello è proprio questo, sono fortunato ad avere avuto attorno a me musicisti straordinari in ognuno dei differenti progetti che ho fatto. Penso che questo mi aiuti a mantenermi ispirato e ad avere un approccio di maggior freschezza riguardo alla musica. Se facessi solo una cosa tutto il tempo, mi esaurirei molto più facilmente. Sono fortunato ad avere questo tipo di opportunità e suonare con questi ragazzi è di grande ispirazione, lo è altrettanto coi Gov’t Mule, ma in modo differente.

“Real Real Love” sembra essere la pietra angolare del disco ed è un brano che Gregg Allman aveva iniziato a scrivere e tu hai terminato.

Sì, “Real Real Love” è una canzone che Gregg aveva iniziato a scrivere ma non ha mai finito. Era solo un testo incompleto, non c’era musica. Io ho finito il testo e scritto la musica. Dopo averlo fatto, ho chiamato al telefono Derek Trucks e gliene ho parlato, gli ho chiesto di registrarlo insieme. E questo ha ispirato la nostra reunion su quest’album, spingendoci ad entrare in “modalità scrittura”. Questa canzone è stata il catalizzatore.

E suona molto classica.

Ho cercato di scrivere la musica nel modo in cui l’avrebbe scritta Gregg, se fosse ancora in circolazione. Volevo onorare il suo stile di scrivere e cantare con questa canzone, più che in ogni altra in cui sia stato coinvolto.


Warren Haynes & Phil Lesh NYC 2011

Phil Lesh & Warren Haynes, Best Buy Theatre di NYC marzo 2011 (foto Antonio Boschi)


 Le tre canzoni in cui suona Derek sono poste all’inizio, al centro e alla fine. Voi due vi conoscete da tantissimo tempo e avete senza dubbio una intesa molto speciale quando suonate insieme.

Sì, abbiamo suonato insieme centinaia di volte e l’alchimia che si crea tra noi è straordinaria, molto naturale. Per questo ho pensato che fosse importante catturarla in studio, per me è stato importante che lui sia riuscito a venire fisicamente in studio, rispetto a lavorare ognuno in uno studio diverso. In origine avremmo dovuto usare il suo studio, ma c’erano i lavori, lo stava ricostruendo e rimodulando, così siamo andati al Power Station, in New England, lo stesso studio dove con i Gov’t Mule abbiamo registrato “Heavy Load Blues” e “Peace…Like A River”. Derek è venuto su per due giorni ed è stata una grande esperienza.

Sull’edizione Deluxe hai ripreso anche “Back Where I Started”, che avevate scritto insieme anni fa ed era su “Already Free” della Derek Trucks Band.

Sì, abbiamo scritto quella canzone molti anni anni fa e c’era un demo in cui la cantavo io. Ho sempre voluto inciderla ma dato che l’hanno fatta su quel disco di Derek Trucks con Susan Tedeschi al canto non avevo nessuna fretta. Ma sembrava appropriato farla per questo disco. Perciò nella versione di “Back Where I Started” sul disco bonus io canto e suono la slide acustica e Derek la ritmica acustica, per il resto è molto simile alla loro versione.

Parlando di Allman Brothers Band, sta per essere pubblicato ufficialmente l’ultimo concerto al Beacon del 2014. Come ci si sente ripensando a quell’eredità musicale e a quei ricordi?

Beh, quella è stata una notte fantastica. Penso che la band abbia suonato eccezionalmente bene, ognuno ha dato davvero tutto. Credo sia stato il concerto più lungo che l’Allman Brothers Band abbia mai tenuto e lo abbiamo fatto apposta, eravamo tutti d’accordo nel lasciare tutto quello che avevamo sul palco. Ho bellissimi ricordi di quella sera, ho ascoltato di recente il nuovo mix e suona benissimo, sono contento che la gente possa gustarsi quello show.

Quest’anno è scomparso Dickey Betts, un caro amico e mentore per te. Ed anche Johnny Neel, un altro amico.

Dickey è qualcuno che ho studiato con grande attenzione, molto prima che ci conoscessimo. Ero un suo grande fan come chitarrista, autore e cantante. Ci siamo incontrati per la prima volta che avevo solo venti o ventun anni e lui è stato incoraggiante, di grande supporto. E pochi anni dopo sono entrato a far parte della sua band, che contava anche Johnny Neel, a sua volta scomparso di recente. E quell’esperienza mi ha portato poi a far parte degli Allman Brothers. È stato Dickey Betts a portarmi negli Allman, mi ha dato la più grande occasione della mia carriera, e la cosa mi ha aperto moltissime porte da allora in avanti. Johnny Neel ed io eravamo molto legati, abbiamo scritto molte canzoni insieme e suonato molta musica, era un musicista e un cantante fantastico. Un’altra grande perdita. Siamo entrati negli Allman insieme, io, Johnny e Allen Woody. Ripensarci adesso fa mi davvero emozionare, non sembra sia passato tutto questo tempo e invece è passato.

E l’anno prossimo sarà il trentennale dei Gov’t Mule.

Sì, il primo album dei Gov’t Mule è uscito nel 1995…perciò abbiamo in programma alcune pubblicazioni d’archivio per l’occasione e terremo dei concerti speciali. Di nuovo, non riesco a credere che siano passati trent’anni! Non abbiamo mai pensato di fare più di un disco e un breve tour, il piano era questo all’inizio, era solo un progetto collaterale, qualcosa da fare per divertimento. Ma poi è successo qualcosa, la cosa ha cominciato a crescere da sola in un modo che nessuno di noi poteva prevedere ed ora sono passati trent’anni, il che è folle. Sono davvero fortunato ad essere stato parte di così tanta musica straordinaria negli ultimi trentacinque anni. E sono molto grato di potermi esprimere in modi diversi, è importante perché amo molte musiche diverse e scrivo molti tipi di musica. E come cantante e chitarrista mi piace molto potermi esprimere in modi diversi, su tanti progetti. Non sarei felice nel fare solo una cosa.


Gov't Mule al Chiari Blues Festival 2022

Warren Haynes – Gov’t Mule, Chiari Blues Festival 2022 (foto Matteo Fratti)


A proposito di cose diverse, hai suonato anche con un’orchestra la scorsa estate, ma credo anche qualche anno fa. Un’esperienza sfidante?

Beh, all’inizio lo è stata, molto impegnativa. La prima esperienza che ho avuto con un’orchestra è stata quando la Jerry Garcia Estate mi ha chiesto di prendere parte ad una cosa chiamata Jerry Garcia Symphonic Celebration. Volevano che un’orchestra sinfonica interpretasse la musica di Jerry Garcia e che artisti differenti fossero i frontmen. Mi chiesero se volessi essere il primo e dissi, “oh, certamente, ne sarei onorato”. Così abbiamo fatto un paio di tour in questa modalità ed ho imparato molto perché non avevo mai lavorato con un’orchestra sinfonica prima. Da allora ho anche realizzato una registrazione dal vivo con la Ashville Symphony Orchestra ad Ashville, North Carolina, la mia città natale. Uscirà  il prossimo anno. Al basso c’era Oteil Burbridge, John Medeski alle tastiere, Jeff Sipe alla batteria e Greg Osby al sassofono. È già pronto e mixato. Lo pubblicheremo il prossimo anno e terrò altri concerti con l’orchestra.

Come hai scelto il materiale da suonare? Sapevi che una canzone avrebbe funzionato in quel contesto sonoro e un’altra no?

Beh è una specie di retrospettiva della mia carriera, ci sono canzoni degli Allman Brothers, dei Gov’t Mule, Grateful Dead, dei miei dischi solisti…e dato che c’era un vasto catalogo cui attingere, anzi molti cataloghi diversi, ho scelto le canzoni che pensavo avrebbero funzionato bene con l’orchestra. Non sono un fan di abbinare per forza rock and roll, jazz o anche pop con un’orchestra solo per il gusto di farlo. Dev’essere una scelta canzone per canzone. Alcune funzionano bene ed altre no. Ma è venuto benissimo e non vedo l’ora di pubblicarlo. L’anno prossimo è un grande anno, un sacco di cose in programma. Quest’anno abbiamo tenuto sette concerti con l’orchestra, con la stessa band di questo disco e due coriste, Saundra Williams, che è presente sull’album e Mayteana Morales, li abbiamo chiamati “Dreams and Songs”.

L’altra settimana sei stato coinvolto nel concerto tributo a Robbie Robertson, Life Is A Carnival, filmato da Scorsese.

È stato fantastico, eravamo al Forum di Los Angeles e la line-up era straordinaria, tantissimi grandi artisti. Un onore farne parte. È stato molto strano cantare “Caravan”, non volevo farlo, me lo hanno chiesto ed ho detto, “ma non la fa Van?” E loro mi hanno detto, “no, non vuole farla, vorrebbe la facesse qualcun altro”. L’ho cantata nei tour in tributo a The Last Waltz, per questo volevano la cantassi io, ma non mi sentivo a mio agio nel farla. Ho continuato a dire di no. Diciamo che mi hanno indotto a farla. Ma col senno di poi sono stato contento di averla fatta perché è venuta bene, ma appunto è stato strano cantarla con lui lì.

Anni fa eri presente in un album tributo a The Band, “Endless Highway”, sia come Allman Brothers che come Gov’t Mule.

Sì, come tutti, credo, ero un grande fan di The Band. Ed ero molto legato a Levon Helm, abbiamo suonato insieme parecchie volte. Ho anche fatto parte dei concerti tributo a The Last Waltz negli anni, ed è stato lì che Jamey Johnson, Lukas Nelson ed io abbiamo lavorato insieme. E questo mi ha dato l’idea di averli entrambi in questo nuovo disco.

Hai spesso prodotto i tuoi dischi o quelli dei Gov’t Mule, ma c’è qualcosa che hai appreso lavorando con altri produttori? Ad esempio, da uno come Tom Dowd con cui avete lavorato quando sei entrato a far parte degli Allman Brothers?

Beh per ogni disco in cui sono stato coinvolto ho imparato qualcosa dal produttore. E aver potuto lavorare con Tom Dowd per qualcosa come quattro dischi in studio e due dal vivo…o con qualcuno come Don Was, ho imparato anche solo guardandoli lavorare. Credo che una delle cose più importanti che ho imparato da Tom Dowd sia stato di trattare ogni situazione in modo diverso. Ho notato come lavorava con artisti e band differenti…variava da persona a persona, riusciva a creare un rapporto con ognuno basato sulla personalità di quell’individuo, riusciva a farlo funzionare e a fare in modo di trarre il meglio dalle persone. Nel suo caso, il più delle volte era quasi invisibile quando le cose andavano bene, non ti accorgevi nemmeno che fosse lì. Se invece le cose erano a un punto di svolta, allora interveniva, offrendo una soluzione o un suggerimento. Ma quando la band era in fase creativa faceva un passo indietro e lasciava che le cose accadessero. L’ho osservato lavorare ed ho imparato molto e cerco di farne tesoro.


Warren Haynes intervistato da Matteo Bossi per Il Blues Magazine

Warren Haynes (per gentile concessione)

 

Leggi in inglese

 

Category
Tags

Comments are closed

Per la tua grafica

Il Blues Magazine