Barbara Dane (per gentile concessione Barbara Dane Legacy Project)

Ci ha lasciato il 20 ottobre scorso, alla venerabile età di 97 anni, Barbara Dane, figura di artista fuori dai canoni, che ha segnato con la sua voce e la sua personalità molta musica e non solo, della seconda metà del Novecento. Ed ha mantenuto per tutta la sua carriera, iniziata negli anni Cinquanta, una coerenza e passione senza eguali. Per ricordarla, proponiamo qui di seguito, l’articolo che le avevamo dedicato qualche anno fa, pubblicato originariamente sul numero 153 de Il Blues.

Ritratti -Barbara Dane

di Matteo Bossi

Quanti possono dire di aver cantato con Earl Hines e Louis Armstrong, ma anche con Lightnin’ Hopkins, Mama Estella Yancey, Reverend Gary Davis o i Chambers Brothers? La risposta probabilmente si riduce al nome della protagonista di queste righe, Barbara Dane. Ma sarebbe forse riduttivo definirla cantante visto che è stata proprietaria di club, produttrice, musicista e soprattutto attivista per ogni buona causa, dal movimento per i diritti civili, all’opposizione al Vietnam, da Cuba a Black Lives Matter.

La Dane nasce a Detroit nel 1927 da una famiglia con radici nell’Arkansas, il padre ha una piccola drogheria e lei gli dà una mano fin da ragazzina. Per qualche ragione cantare le viene naturale, dimostra una certa predisposizione, prende anche qualche lezione verso i dodici anni, per imparare, più che altro respirazione e tecnica di base. Ma capisce presto che cantare le canzoni pop dell’epoca o essere valutata per il suo aspetto fisico non fa per lei. Si interessa alle dinamiche sociali e razziali che vede dipanarsi davanti agli occhi in una Detroit la cui economia viene molto rilanciata dalla produzione bellica e dall’immigrazione interna. Lei comincia ad interessarsi ai canti di lavoro, alle canzoni politiche, si avvicina ai movimenti sindacali di sinistra e al partito comunista, scopre Leadbelly e Billie Holiday. Conosce anche Pete Seeger, venuto in città per alcuni concerti e a vent’anni, nel 1947, partecipa a Praga al primo World Youth Festival, un evento destinato a imprimere una svolta nella sua vita. Nel corso del grande raduno (circa ventimila persone) venne a contatto con gente di tutto il mondo, partigiani greci, resistenti dalla Spagna franchista e della Cecosclovacchia, studenti, artisti. Rientrata in America continua a cantare, attirando l’attenzione di alcuni promoter; le propongono un tour con Alvino Rey, ma lei rifiuta preferendo cantare ai raduni sindacali e politici. Non le interessa mettersi un bel vestito e sfruttare il suo aspetto, la priorità è solo la musica. Si trasferisce a San Francisco col marito, Rolf Cahn e continua a cantare, interessandosi soprattutto jazz e blues, complice un certo revival di sonorità anni Venti e Trenta.

Barbara Dane

Sovente ospite di artisti di jazz tradizionale quando suonavano in città come Bob Mielke & His Bearcats oppure da artisti di New Orleans, Kid Ory o George Lewis e ancora un musicista locale quale il trombonista Turk Murphy. Il suo esordio discografico vero e proprio arriva, dunque, solo a fine anni Cinquanta con “Trouble In Mind” (edito dalla Barbary Coast), un buon disco in chiave blues con un repertorio che si rifà a cantanti quali Bessie Smith, Ida Cox o Ma Rainey. E’ colpita dalla personalità di queste artiste afroamericane, dalla loro forza e dal canto diretto, dalle loro tematiche sfrontate e anticonformiste, pronte a sfidare l’ordine sociale, costi quel che costi. Le sue interpretazioni sono credibili e sentite, gli apprezzamenti non tardano ad arrivare. In questo periodo col secondo marito, Byron Menendez da cui avrà altri due figli, si sposta a Los Angeles, città dalla scena musicale molto attiva. Nel 1959 appare al primo festival di Newport, poi in televisione accanto a Louis Armstrong che ne è talmente colpito da proporle di andare in tour con lui in Europa, ma la cosa non andrà in porto, anche perché non era ben visto che una cantante bionda e bianca e un jazzista afroamericano condividessero il palco. Arriva un secondo album per l’etichetta Dot, “Livin’ With The Blues” con l’accompagnamento prestigioso del gruppo di Earl “Fatha” Hines, con, tra gli altri, Shelly Manne alla batteria, Plas Johnson al sax tenore e Benny Carter alla tromba. Suona nei club in giro per l’America, al Gate of Horn di Chicago, dove conosce l’accompagnano Little Brother Montgomery e Memphis Slim, con quest’ultimo e Willie Dixon la collaborazione proseguirà per altre date a Boston e New York.

Sugar Hill

Tornata a vivere a San Franscisco Barbara fonda nel 1961 un piccolo club dover artisti di jazz, blues e folk potessero trovare un palco, il “Sugar Hill : home of the blues”. Lei vi suonava regolarmente col suo trio comprendente il contrabbassista Wellman Braud (già per lunghi anni con Duke Ellington) e il pianista/cornettista Kenny Whitson. Tra gli artisti che animavano le serate vi erano Lightnin’ Hopkins, Mose Allison, Sonny Terry e Brownie McGhee, Big Mama Thornton. Ma ricordiamo anche figure riscoperte in quel periodo, è il caso di Lonnie Johnson, che omaggiò il locale in una canzone “Fine Booze and Heavy Dues” su un suo disco per la Prestige/Bluesville, con questi versi, “I’ve got the blues for San Francisco, it’s San Francisco where I want to be, there’s a club they call Sugar Hill and that’s where I long to be”. Ricordiamo alcuni ottimi dischi dal vivo registrati lì uno di Carmen McRae nel 1963, uno di Sonny Terry & Brownie McGhee e ben due CD sono invece disponibili di John Lee Hooker, il primo edito prima su Galaxy e poi negli anni Settanta ristampato dalla Fantasy col titolo “Boogie Chillen” e il secondo soltanto nel 2002, “Live At Sugar Hill Vol.2”(Il Blues n. 81)  un grande esempio del magnetismo di Hooker, solo voce e chitarra, frutto di concerti del novembre 1962.

In quegli anni la Dane era anche la titolare di un programma radiofonico, Barbara’s Blues, in onda da KPFA e una trasmissione su una tv locale KGO-TV. Incide un disco per la Capitol, “I’m On My Way” con Whitson, Braud e tra gli altri Earl Palmer alla batteria, ancora una volta molto vicino al blues. Così come “Sings The Blues” edito dalla Folkways nel 1964, realizzato, come recita il sottotitolo con accompagnamento di sola chitarra a sei o dodici corde. La Dane si conferma interprete di grande valore, anche in un contesto più essenziale, con brani presi a prestito da Tampa Red o Sippie Wallace.  Decide di andare a vivere a New York per stare con colui che sarebbe diventato il suo terzo marito Irwin Silber. Uno degli ultimi ingaggi nella Bay Area è in un locale fondato dal suo primo marito Rolf Cahn, The Cabale, a Berkeley, alla presenza dell’amico Chris Strachwitz e della sua attrezzatura con l’idea di realizzare delle registrazioni informali. In città c’era anche Lightnin’ Hopkins che aveva suonato nel club qualche giorno prima ed aveva già familiarità con la Dane. Il grande texano la raggiunse e i due improvvisarono qualche brano, con grande divertimento, alcuni di essi quali una ottima versione di “Mother Earth”(Memphis Slim), “I’m Going Back Baby”, mentre lo spiritual “Jesus Won’t You Come By Here” venne recuperato da una session del 1961, finirono nella facciata B dell’Arhoolie 1022, “Lightnin’ Hopkins With His Brothers Joel and John Henry and With Barbara Dane”. Trentadue anni dopo l’Arhoolie pubblicherà una edizione integrale di queste registrazioni del 1964 nel CD 451 accreditato a Barbara Dane e Lightnin Hopkins, “Sometimes I Believe She Loves Me”(Il Blues n. 67), con le sovraincisioni del piano di Ray Skjelbred nei brani in cui Hopkins era assente. Un altro tassello interessante nella discografia sia di Hopkins che della Dane.

Barbara Dane & Lightning Hopkins "Sometimes I Believe She Loves Me"

 

Freedom Summer

Si stabilisce dunque sulla East Coast con Silber, fondatore e direttore della rivista Sing Out!,  proseguendo il suo impegno sociale. Sono anni intensi di nuove battaglie,  la Dane si schiera contro la guerra in Vietnam, canta durante le proteste e le manifestazioni, sovente accompagnata dal figlio Pablo Menendez. Si unisce al movimento per i diritti civili, la ritroviamo nel Mississippi accanto ad altre amiche e colleghe coinvolta nella cosiddetta Mississippi Freedom Summer, la campagna volta ad incentivare le registrazioni per esercitare il diritto di voto. Pensiamo che nel 1962 solo poco più del 5% degli afroamericani del Mississippi era registrata per votare. Le iniziative prevedevano anche programmi educativi per l’infanzia, con la creazione di Freedom Schools, in cui cantava e insegnava musica. Una delle figure di spicco della campagna è la straordinaria attivista Fannie Lou Hamer, che subì in prima persona minacce, pestaggi e percosse. L’atmosfera nel Sud, che Barbara conosceva solo per aver fatto visita da bambina ai parenti in Arkansas, è tesa ed è’ in questo contesto che avvennero gli omicidi di tre attivisti, James Chaney, Andrew Goodman e Michael Schwerner. (vicenda che ha ispirato, in parte, anche il film Mississippi Burning).

Proprio dalla Hamer Barbara ha raccontato di aver imparato una canzone “Freedom Is A Constant Struggle” che avrà un ruolo centrale nel suo disco con i Chambers Brothers. Il disco esce nel 1966 per la Folkways, frutto di registrazioni avvenute l’anno precedente, in occasione del loro passaggio sulla costa Est per cantare a Newport. I quattro fratelli Chambers, originari del Mississippi, si erano stabiliti a Los Angeles e la Dane li aveva conosciuti proprio lì, durante una serata al celebre Ash Grove. In studio trovano una naturale alchimia in un set ispirato di freedom songs che riflette le turbolenze sociale del periodo, passando dal   folk rock di “It Isn’t Nice” alla solenne “We’ll Never Turn Back” e una “You Got To Reap What You Sow” che guarda alla versione di Bessie Jones con dedica, sarcastica a McNamara, Lyndon Johnson e Dulles. Nel 1966 si reca persino a Cuba ed è la prima artista americana a farlo dopo la rivoluzione castrista, sfidando la proibizione di raggiungere l’isola per i cittadini statunitensi. Ci ritorna l’anno successivo per partecipare ad un raduno di artisti denominato Encuentro de Cancion Protesta, testimoni e militanti provenienti da molti paesi del mondo. Incontrò persino Castro, che tenne a ringraziarla. Porta con sé il figlio adolescente Paul Menendez che finirà per studiare musica a Cuba, diventare un musicista a sua volta e stabilirsi proprio sull’isola, ribattezzandosi Pablo.  Accompagnatore sovente sia in studio che dal vivo della madre, in parallelo si è affermato alla guida della sua band di salsa/rock, Mezcla.

Barbara Dane con i Chambers Brothers

 

Paredon

L’impegno politico e quello musicale si intrecciano e trovano un compimento nella fondazione di un’etichetta, la Paredon, nel 1970, col preciso intento di documentare i movimenti di lotta e resistenza in giro per il mondo e i musicisti in esso coinvolti. “Tornai da Cuba piena di entusiasmo, volevamo condividere le lotte di tutte queste persone di diverse parti del mondo. Vedevamo tutti questi artisti di cui pochi conoscevano l’esistenza al di fuori dei loro movimenti”. Una etichetta fuori del mainstream sorretta dall’idealismo, nel dare voce ad un fermento avvertibile in giro per il mondo negli anni del post-colonialismo, nella convinzione che anche se le rivoluzioni di rado hanno gli effetti che ci si era prefissi, la loro rilevanza storica resti tale e la musica sia spesso un racconto più efficace di tante parole. Sono gli anni in cui anche negli Stati Uniti si formano movimenti femministi, studenteschi e di Black Power. Dane e Silber guardano in un certo senso a Folkways (Silber negli anni Cinquanta aveva persino lavorato per Moe Asch) e Arhoolie ma sono ancor più radicali sul versante politico e sociale. Pensiamo ad esempio a “Songs Of The GI’s Resistance”, raccolta di canti di soldati contro la guerra del Vietnam, raccolti clandestinamente in bar e coffee houses, nei pressi delle basi americane. Scorrendo il catalogo che i coniugi riuscirono a mettere insieme, composto di circa cinquanta dischi nell’arco di vent’anni, vi si trovano titoli con materiale proveniente da Cuba, Vietnam, Grecia, Cina, Cile, Filippine, Argentina, Porto Rico e anche l’Italia, con un LP intitolato “Avanti Popolo!” nel 1974. Questo fu possibile anche grazie al rapporto con Alessandro Portelli. Americanista e folklorista illustre, nonché docente universitario e autore di decine di libri, la sua conoscenza con la Dane risale al 1969 e l’amicizia non si è mai interrotta. Portelli e Ferdinando Pellegrini erano in America e documentarono con molte registrazioni realizzate sul campo il fermento nella fase dell’insediamento di Nixon, di tanti che si opponevano a quella che sembrava a tutti gli effetti una restaurazione dopo un drammatico 1968. Tornato in Italia pubblicò il materiale raccolto in un Lp, “L’America della Contestazione” per i Dischi del Sole.

Nel 1977 la stessa etichetta pubblicò la versione italiana di un album su Paredon  di Barbara di qualche anno prima,  “I Hate The Capitalist System”, una edizione curata, con un ricco libretto con traduzione integrale dei testi. La canzone che diede il titolo alla raccolta, inclusa nel disco curato da Portelli, fu scritta negli anni Trenta da Sarah Ogan Gunning, una cantante e moglie di un minatore del Kentucky che registrò negli anni Trenta e venne riscoperta nei Sesssanta, quando viveva a Detroit.  La canzone era nel repertorio della Dane già da qualche tempo ed è del tutto coerente col suo percorso. Come lo è tutto il materiale presente nell’album, da un blues di JB Hutto con testo rielaborato da lei, a episodi tratti da Woody Guthrie o ad una solenne “Working Class Woman”.  Quanto all’Lp curato da Portelli, “Avanti Popolo! Revolutionary Songs Of The Italian Working Class”, esso includeva canzoni cantate da operai milanesi, pastori sardi, di rilevanza politica e sociale, un dialogo, per così dire, tra la working class americana e quella del nostro paese. Il legame tra Portelli e la Dane non si è interrotto negli anni, pensiamo anche al suo “We Shall Not Be Moved” (Il Blues n. 148), summa della sua ricerca musicologica ammericana, che  reca la dedica “soprattutto a Barbara Dane” ed infatti nei quattro CD allegati, Barbara è una presenza costante, con registrazioni raccolte in vari periodi, le più recenti risalgono ad un suo passaggio in Italia col figlio Jesse Cahn nel 2001. Ma venne anche a suonare in un paio di occasioni al festival dell’Unità ad inizio anni Settanta, a Firenze con Mable Hillery. Il quarto CD allegato al libro è la riedizione integrale de “L’America della contestazione”. L’avventura della Paredon termina agli inizi degli anni Novanta, quando Dane e Silber decisero di donare il loro catalogo alla Smithsonian che ne avrebbe garantito l’accessibilità e la conservazione. Seguendo quel che avevano fatto gli eredi di Asch col catalogo della Folkways ed anticipando la scelta, anni dopo, del loro amico Chris Strachwitz per la sua Arhoolie.

 Cosa ascoltare

Dei suoi dischi in commercio sono senz’altro consigliabili le ristampe di “Trouble In Mind” e I’m On My Way”/”Living With The Blues” (Il Blues n.131), ristampati in anni recenti, oltre naturalmente alle registrazioni con i Chambers Brotheres o Hopkins su Arhoolie. Ma il punto di partenza migliore per chi voglia avvicinarsi alla sua figura è costituito, senza dubbio, dal doppio CD antologico “Hot Jazz, Cool Blues & Hard Hitting Songs”, edito dalla Smithsonian / Folkways nel 2018, celebrativo dei suoi novant’anni e del suo singolare percorso. E’ un vero e proprio scrigno contenente frammenti di storia, che messi insieme compongono una sorta di grande mosaico americano in cui i personaggi accanto a Barbara, come abbiamo cercato di illustrare, si chiamano Earl Hines, Memphis Slim, Willie Dixon, Pete Seeger, Lightnin’ Hopkins, ma anche canzoni di Woody Guthrie e Bob Dylan (“Only A Pawn In Their Game” scritta per Medgar Evers), accompagnata a volte dai membri della sua famiglia, figli e nipoti. La musica assume connotati diversi, passa dal jazz al folk/rock, al blues classico, gli spirituals, le canzoni di protesta e antimilitariste (anche nei reaganiani anni Ottanta, si ascolti la corrosiva “Gipper Gate Blues”) o di commento storico e sociale. Ci sono anche delle incisioni dal vivo ritrovate in alcuni scatoloni pieni di nastri della sua cantina, quali una “Why Don’t You Do Right?” in un club di Chicago nel 1960, un raro duetto con Doc Watson o delle performance con Whitson e Braud presso lo Sugar Hill. Una grande varietà che lei ha navigato con fierezza e sensibilità, restando fedele a sè stessa e ad una visione della musica senza confini, come “fonte di meraviglia e rivelazione”, per usare le sue parole. Una lezione di coerenza, rispetto e amore per gli ultimi, per tutti coloro che lottano per far valere i propri diritti, per la giustizia e la pace.

Barbara Dane Smithsonian album coverLa sua più recente prova discografica risale al 2016, un album con la pianista Tammy Hall alla testa di un piccolo combo, interpreta brani del reprtorio di Memphis Minnie, Leonard Cohen o Paul Simon. E’ divenuta, forse senza volerlo, un riferimento per tante artiste più giovani. Bonnie Raitt  l’ha accostata, giustamente, a Memphis Minnie e Sister Rosetta Tharpe, donne e chitarriste indipendenti e Holly Near, attivista e musicista, la considera un riferimento. La Dane resta una dimostrazione di come si possa avere una lunga carriera alle proprie condizioni e senza scendere a compromessi. Di questo la ringraziamo profondamente.  Segnaliamo che in anni recenti  è stata finalmente pubblicata la sua  autobiografia, “This Bell Still Rings-My Life Of Defiance And Song” (Heyday Books-2022).

E speriamo di poter vedere il documentario “The Nine Lives Of Barbara Dane” che Maureen Gosling con l’aiuto della figlia di Barbara, Nina Menendez direttore esecutivo del Barbara Dane Legacy Project, ha realizzato e continua ad essere presentato in festival e  Chiudiamo con una sua risposta alla domanda sul perché canta i blues, tratta da una intervista citata anche nel testo di Portelli: “Il blues è nato dalle peggiori condizioni immaginabili per gli esseri umani, dalla schiavitù e dallo sfruttamento ed è stato donato al mondo nello spirito di volgere la follia in sanità mentale, il dolore in gioia, la schiavitù in libertà, l’inimicizia in unione.   È musica per sopravvissuti e c’è molto da imparare dal suo spirito, da condividere e diffondere il più possibile.”

 

 

 

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