Vaneese Thomas, figlia di Rufus e sorella minore di Carla, e’ una cantante di prima fascia nel mondo del Rhythm and Blues. Insomma una stella, un astro piuttosto brillante nonostante i due ingombranti parenti.  E questo Stories in Blue conferma la sua qualita’, la sua sensibilita’ di artista matura. Oggi settantaduenne, Vaneese Thomas venne fuori con prepotenza con Let’s Talk it Over verso il declinare degl’anni ottanta, una bella canzone che, per ragioni ignote, ne oscurava un’altra altrettanto bella: New Love.  Gl’anni trascorrono con collaborazioni con nomi di fama planetaria che forse hanno rallentato una carriera solista piu’ che promettente. Comunque, dal 2003, Vaneese incide 8 albums tra i quali sarebbe difficile identificarne uno peggiore.  E questo Stories in Blue si inserisce in questa continuita’, svariando con uguale maestria tra Rhythm’n’Blues, Soul e Gospel.  Si inizia con un pezzo, “Do Y’All (know where the Blues come from)” da onde radio, buono anche per scaldare l’atmosfera in un concerto, benche’ il tema sia quello estremamente serio della schiavitu’.  Un paio di canzoni su delusioni amorose – Vaneese sembra una donna particolarmente sfortunata con gl’uomini – una dedica dixieland al padre Rufus nato del 1917 – un pezzo sul tema del ritorno, “Seven Miles From Home”, e un “Gospel, The End of the Road”, sul tema della morte come sollievo dalle pene umane, per chiudere in bellezza.  Tutto molto bello, suonato e cantato veramente bene.  Volendo cercare un difetto, ce n’e’ uno che difetto vero non e’, l’album e’ un po’ corto mentre si vorrebbe sentire ancora cantare Vaneese. Il secondo e’ che la musica esce fuori un po’ asettica, quasi timida, come se si volesse tirare le briglie ad un cavallo che vuole disperatamente partire al galoppo.  Vaneese Thomas e’ una cantante straordinaria e questo album lo conferma. Se tornasse in Italia, non mancatela.

Luca Lupoli

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