willie buck

William Crawford alias Willie Buck è un vivace ottuagenario, è infatti nato a Houston, Mississippi nel 1937. Adolescente, dopo aver ascoltato Muddy Waters, rimane affascinato dalla musica, ispirandosi al Chicago blues classico, elettrico e urbano, col tempo diventandone uno dei portabandiera. Il suo quarto album su Delmark, “Live At Buddy Guy’s Legends“, comincia con una jam strumentale blues con Scott Dirks all’armonica, Billy Flynn alla chitarra solista, Thaddeus Krolicki alla seconda chitarra, Johnny Iguana al piano e Melvin Smith al basso. Si tratta inoltre dell’ultima registrazione del compianto batterista Willie “The Touch” Hayes, scomparso nel novembre 2023.  Lo strumentale “Jumping”, appunto, stabilisce il tono e la dinamica dell’album. Willie Buck entra allora in scena, riprendendo il classico R&B “Kansas City” con gli All Star e una ritmica indiavolata alle sue  spalle. Il brano merita un approfondimento: scritto nel 1952 da Jerry Leiber e Mike Stoller, due giovanotti losangeleni di diciannove anni, appassionati di R&B che a Kansas City non avevano mai messo piede, ma si erano ispirati ai dischi di Big Joe Turner. A quanto pare, la canzone la scrissero per il pianista della West Coast Little Willie Littlefield col titolo “K.C. Loving” ma solo nel 1959 Wilbert Harrison l’ha trasformata in un grosso successo. “Kansas City” è stata ripresa in seguito in oltre trecento versioni, mentre Lieber & Stoller sono diventati dei giganti nello scriver musica blues, R&B  e rock’n’roll. Si possono gustare le parole sapide della canzone, “going to Kansas City, Kansas City here I come, they got some crayz looking women there and I’m gonna get me one (…)”. (me ne vado a Kansas City, Kansas City eccomi qua, ci sono donne dall’aria folle e me ne troverò una”.

Malgrado l’età, la voce di Willie Buck è ben salda e a suo agio nei blues lenti come “Let’s See If We Can Come Together”, con una raffinata chitarra slide, una versione slow blues di “Snow” e qualche accenno di Buck ad un libro che intende scrivere sulla sua vita movimentata. Il resto dell’album segue un sentiero tracciato. Buck propone una versione di “Rock Me” di Muddy Waters e poi l’originale “Walking And Swimming” che non è altro che “Catfish Blues”. L’ultimo brano è una versione solida di “Hoochie Coochie Man”, il classico senza tempo di Muddy Waters che si deve al prolifico e geniale compositore Willie Dixon. Il disco è stato registrato dal vivo da Connor Kore, mixato da Elbio Barilari e Julia Miller, anche curatrice della masterizzazione. Da notare che la presa del suono live è grezza e senza artifici di post mixaggio o post-sincronizzazione in studio, il che potrebbe disorientare gli appassionati abituati al suono tipico delle registrazioni Delmark. Ricordiamo, per concludere, che Willie Buck, veterano del Chicago blues, è uno degli ultimi ad aver conosciuto i più grandi e a tener viva la fiamma del blues anni Cinquanta/Sessanta, in voga fino a pochi anni fa nella Windy City. Un ascolto attento è quindi doveroso!

Philippe Prétet


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