Incontriamo Kenny Wayne Shepherd in occasione dell’uscita del nuvo disco “Dirty On My Diamonds – Vol. 2

di Luca Zaninello

 

Hai suddiviso Dirt On My Diamonds in due album distinti, quali sono le principali differenze?

Sono dischi diversi, ma sono connessi tra di loro, poiché le canzoni sono state scritte e registrate tutte nello stesso periodo. Direi che “Volume 2” è un po’ più rock rispetto al precedente, ma nel complesso hanno la loro autonomia: possiamo dire che sono unici ma collegati, essendo stati sviluppati nello stesso momento temporale.

 

Avete registrato nei famosi studi Muscle Shoals in Alabama: c’è stata una ragione particolare per questa scelta?

Beh sì, il Fame è uno studio leggendario e volevamo fare qualcosa di diverso. Tutto ciò che ti circonda influisce sul processo creativo, quindi invece di scrivere canzoni ad esempio a Nashville, abbiamo pensato che un cambio di scenario ci avrebbe ispirato in modo diverso. I Fame Studios sono quasi un museo: hanno ancora lo stesso aspetto di quando vi sono stati registrati tutti gli album più belli, che oramai tutti consideriamo storici, fondamentali per la musica che amiamo. Essere in quell’ambiente ha sicuramente influenzato la musica che abbiamo creato.

 

Come scrivi le tue canzoni? Nascono da storie personali o sono più riflessioni su ciò che ti circonda?

Sono un po’ entrambe gli aspetti: ogni brano è diverso, ma spesso è ispirato dall’osservazione della vita che mi circonda, siano problemi o tematiche che emergono guardandomi attorno, oppure esperienze personali. In definitiva, si tratta di vivere la vita giorno per giorno, cercando di affrontare tutto ciò che ne deriva, non in maniera passiva.

 

Nel caso di vicende familiari o personali, riesci comunque a proteggere il tuo contesto privato?

Sì, alcune canzoni sono ispirate a mie esperienze dirette, ma non vengono espresse in maniera così trasparente. Parte dell’essere creativi è prendersi delle libertà, ovvero cambiare un po’ la storia, per renderla più interessante o per proteggere le persone coinvolte. Non è come scrivere un libro sulla mia vita; si tratta piuttosto di catturare le esperienze e trasformarle in canzoni.

 

Foto di Mark Seliger

 

Tu hai una band straordinaria: quanto contribuiscono gli altri musicisti alla composizione o all’arrangiamento della musica?

Ogni musicista presente nel disco ha un impatto su di esso: una volta che la struttura del pezzo è definita ognuno può contribuire a seconda delle idee che possono emergere. È per questo che miro sempre a lavorare con i musicisti migliori, che “elevano” la qualità della musica: e più sono bravi, migliore è il risultato finale.

 

Rispetto al passato, stai utilizzando maggiormente la sezione di fiati: ci puoi descrivere le ragioni di questa scelta?

È stato divertente provare qualcosa di diverso; d’altronde, a partire da “The Traveler”, ho usato più volte i fiati, un aspetto che ha poi impattato anche nel portare una sezione fiati in tournee. Mi è piaciuto molto quel suono, soprattutto in ambiti inaspettati, come ad esempio in “Long Way Down” del nuovo album, oppure quando abbiamo fatto la cover di “Mr. Soul” dei Buffalo Springfield proprio su “The Traveler”. È emozionante mettere i fiati in una canzone rock and roll dove non te li aspetteresti: di sicuro ha dato alla band una nuova dinamica.

 

Molti (io compreso) considerano “10 Days Out: Blues From the Backroads” forse il tuo capolavoro, con la presenza di così tante icone del Blues: quanto sono importanti le collaborazioni per la vostra musica e ce n’è qualcuna di cui vuoi parlarci?

Le collaborazioni sono veramente importanti per me: ti offrono sempre un grande arricchimento, stimoli, nuove prospettive. Ne ho una a cui tengo moltissimo che vedrà la luce l’anno prossimo: ho in preparazione un album con Bobby Rush. Ci siamo riuniti in studio e lui canta e suona l’armonica mentre io sono alla chitarra: alcune canzoni sono volutamente grezze, mentre in altre c’è la band al completo, ma è tutto blues al 100%. È superfluo parlare del talento di Rush e sono davvero entusiasta di come sarà il risultato finale. Per quanto riguarda “10 Days Out”, è stato certamente uno dei progetti più significativi che abbia mai realizzato: si è parlato di fare un seguito, ma è difficile visto che non ci sono più tanti musicisti blues originali in giro. Spero comunque che prima o poi riusciremo a fare qualcosa di simile.

 

Stevie Ray Vaughan è stato la tua prima ispirazione, e ora suoni con il suo batterista: c’è quasi un senso di continuità?

Assolutamente sì, per me c’è un grande legame: Chris Layton ha iniziato a suonare con me dal mio secondo album “Trouble Is”, e fa parte della mia band da oltre 20 anni. Ho anche lavorato con tutti i Double Trouble, Tommy Shannon, Reese Wynans, oltre a Chris nei miei dischi. È stato incredibile essere nella stessa stanza con loro, a fare musica: ogni volta che suono con Chris, e anche con Reese, è un vero piacere. Ammiro molto quei musicisti.

 

Anche in questo “Volume 2” hai inciso una cover: forse che “She Loves My Automobile” degli ZZ Top ha qualcosa a che fare con la tua passione per le auto?

Ah, ah, sicuramente. Amo le auto e le chitarre: sono le mie due grandi passioni, oltre alla mia famiglia. Ammiro anche Billy Gibbons e gli ZZ Top: pure Billy è un grande appassionato di auto, quindi abbiamo molto in comune con queste due passioni. Quel brano è sempre stato uno dei miei preferiti e mi piace il modo in cui Billy scrive e compone, raccontando del suo amore per le auto e la musica.

 

Possiamo strapparti una promessa di rivederti in Italia per una prossima tournee?

Stiamo organizzando il tour del 2025 e c’è sicuramente l’intenzione di includere l’Italia fra le sedi in cui suoneremo, per cui è molto probabile che ritorni.


link alla recensione del disco: https://www.ilblues.org/kenny-wayne-shepherd-dirt-on-my-diamonds-volume-2/

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