Proprio a poche settimane dalla pubblicazione da parte della Goner, etichetta di Memphis, sua città natale, del secondo disco “Trouble”, ci ha lasciato Reverend John Wilkins. Si è spento il sei ottobre per le conseguenze del sars covid-19 che aveva contratto nei mesi scorsi. Wilkins, classe 1943, era figlio d’arte, il padre era infatti Robert Wilkins grande artista di country blues e gospel, riscoperto negli anni Sessanta, lo stesso periodo in cui John si avvicinava al gospel. Ancora adolescente comincia infatti a suonare e cantare per diversi gruppi, a Memphis c’è sempre richiesta di musicisti e finisce per suonare anche ad una session di O.V. Wright che frutta la splendida “You’re Gonna Make Me Cry”. Registra anche alcuni brani con un gruppo gospel in cui milita per circa vent’anni gli M & N Gospel Singers nel corso degli anni Settanta.Pur avendo registrato in ambito soul e gospel, gli piaceva anche il blues però, essendo cresciuto ascoltando Muddy Waters, John Lee Hooker, Howlin’ Wolf . “Mia madre mi diceva sempre: ragazzo mio, non puoi suonare entrambi – era molto religiosa – devi scegliere l’una o l’altra. Mio padre invece non mi disse mai nulla al riguardo, solo di avere un mio stile”, ci raccontò durante l’intervista pubblicata sul n. 120 de Il Blues. Dal 1985 poi, seguendo le orme del padre a sua volta reverendo, divenne pastore alla Hunter’s Chapel di Como, Mississippi e le attività della chiesa lo assorbirono a tal punto da mettere da parte la musica. La sua carriera musicale riprese, forse inaspettatamente anche per lui, con la pubblicazione di “You Can’t Hurry God” nel 2011 per la Big Legal Mess, album di gospel rurale, spontaneo e ruvido al punto giusto, lontano dal mainstream, realizzato grazie all’interessamento di Amos Harvey e con il contributo di musicisti quali Jake Fussell ed Eric Deaton. Da lì aveva preso a tenere concerti, non di rado anche in Europa, dove abbiamo avuto modo di ammirarlo alcune volte, l’ultima al festival di Lucerna dello scorso anno in una memorabile performance accompagnato anche da due delle sue tre figlie. Con lui se ne va un arista singolare, degno erede del padre oltre che incarnazione di un legame tra la tradizione country blues, il gospel e il soul; ricorderemo inoltre la schiettezza e simpatia dell’uomo, qualità che del resto trasferiva nella sua musica.
Matteo Bossi
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