La figura di Nina Simone continua a suscitare un interesse diffuso, negli ultimi anni sono diverse le iniziative che la riguardano, in campo musicale, editoriale o cinematografico. Nel primo caso ricordiamo, oltre alle costanti ristampe della sua discografia, gli album tributo realizzati da interpreti molto diverse tra loro come Nina Van Horn, Me’Shell Ndegeocello, la figlia Lisa Simone o più recentemente da Ledisi col suo “Sings Nina”.

Sono numerosi anche i testi a lei dedicati o ispirati più meno direttamente, sia di carattere bio/discografico che poetico o fumettistico. Per restare solo a quelli in lingua italiana, d’obbligo citare il lavoro di Gianni Del Savio uscito lo scorso anno per Shake. Potremmo citare, infine, documentari come “What Happened Miss Simone?” o le immagini della sua partecipazione, nel 1969, all’Harlem Cultural Festival, recuperate dall’encomiabile “Summer Of Soul”, di Ahmir “Questlove” Thompson.

Anche la sua eredità musicale è stata spesso oggetto di ristampe, per esempio con la pubblicazione di box comprensivi della sua produzione per etichette quali Colpix, RCA, Philips, raccolte di concerti, (“Montreux Years”) o varie compilation antologiche.

La Verve/Universal che in precedenza aveva pubblicato un live at Newport del 1966 dal titolo “You’ve Got To Learn” e un album in studio degli anni Ottanta, “Fodder On My Wings”, ha edito in questi giorni un altro lavoro dello stesso periodo, “Nina’s Back”. Si tratta di un disco uscito nel 1985 per VPI e poi circolato per varie altre etichette (Bellaphon, Sonet, Grind, Charly…) e talvolta con copertine differenti. Quella originale ritraeva la Simone di schiena, un gioco col titolo che così acquista un doppio senso o meglio, la foto lo prendeva in senso letterale.

L’album, inciso tra Los Angeles e New York, sconta sonorità tipiche del periodo, discostandosi da quelle in cui era abituata a muoversi. Ci sono fiati, coristi, la chitarra di Arthur Adams (con lei anche nei tour in quegli anni), ma anche un ruolo sovente dominante dei sintetizzatori, forse nel tentativo di spostare la sua musica in direzione più commerciale. L’effetto è particolarmente straniante nell’iniziale “It’s Cold Out Here”, dall’andamento disco/R&B, malgrado un testo non banale oppure la nuova versione di “Porgy”, con larghi tratti parlati in cui racconta le sue peripezie personali, tra Africa, Svizzera a Francia. I ritmi invitano ancora alle danze, siano esse caratterizzate dai toni caraibici di “I Sing Just To Know I’m Alive” sia da quelli più funky di “You Must Have Another Lover”, quest’ultima scritta da Adams. Anche una ballad come “For A While” risulta troppo prodotta,  sarebbe bastato affidarla alla semplicità del piano e della voce di Nina Simone, ma evidentemente i produttori/arrangiatori Eddie Singleton e Hence Powell avevano altre idee. Una considerazione che potremmo applicare all’altra ballata, “Saratoga”, scritta da suo fratello Sam Waymon, in cui la malinconia viene ancora illanguidita dal sintetizzatore.

È un episodio discografico curioso all’interno della sua carriera,  non un tassello fondamentale, immerso com’è nelle atmosfere anni Ottanta,  testimonianza  della vitalità e capacità espressive dell’artista, nonostante gli arrangiamenti troppo carichi. E quando si tratta di un’artista del tutto fuori dal comune quale è stata Eunice Kathleen Waymon alias Nina Simone, ogni frammento,  seppur in apparenza trascurabile, estratto dal suo percorso ci aiuta a comprenderne appieno l’unicità.

Matteo Bossi

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