«Gusto inconfondibile nella scelta delle note» (“Il Blues” n.78, pag.36). Così ce lo fece conoscere più da vicino, nel marzo 2002, il bassista Lillo Rogati, ovvero uno dei più distinti bassisti italiani avente già alle spalle la conoscenza di quanto di meglio fosse stato possibile nel mondo del blues e non solo. Orbene Larry, nativo di New York, entrò in contatto con i nascenti Canned Heat che gli affibbiarono il soprannome di “The Mole” (ovvero Talpa) perché pensavano che la divisione dei suoi denti lo facesse assomigliare ad una talpa, ma che nel contempo gli fecero vivere le emozioni legate a due festival (storici per i tempi in cui vissero) come “Monterey Pop Festival” (16-18 giugno 1967) e “Woodstock Festival” (15-17 agosto 1969). Purtroppo le difficoltà di Larry (preciso ed umano) di convivere con il chitarrista Henry Vestine (la cui genialità veniva cancellata dagli eccessi di droga), lo spinse ad abbandonare la band in occasione della collaborazione con John Lee Hooker (“Hooker ‘N Heat”), con cui ritornerà dopo 17 anni. D’altronde il giudizio che lo portò a considerarlo come il miglior bassista del tempo, riconoscimento che fu impossibile ignorare data la sua presenza con Tom Waits, John Mayall (qui con Harvey Mandel), Albert King, Solomon Burke, Buddy Guy, Wanda Jackson, Tracy Chapman, Kim Wilson, Charlie Musselwhite, J. J. Cale, Ry Cooder, John Lee Hooker. Dopo un periodo alternato, si riunirà di nuovo con gli eterni Canned Heat, che però nel frattempo era diventato un gruppo che viveva legato ai membri più diversi, dalla cui varietà spuntò la versione del 1987, un quartetto che si avvalse di un trio formato da Fito de la Parra, Henry Vestine e Larry Taylor, la cui tappa a Milano, a cui assistemmo nel 1987, si rivelò la classica rilettura finalmente avvolta dallo spirito di un tempo. Se l’amico-nemico Vestine scomparirà il 20 ottobre 1997 a Parigi, Larry Taylor si è spento a Lake Balboa il 19 agosto 2019. Con ciò, oltre a voler chiedere scusa per esserci dimenticati, lo vogliamo ricordare solo con “Time Was” un blues con cui lui e Henry ci hanno salutato facendoci capire che si può vivere insieme.
Marino Grandi
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