bettye lavette

Avevamo lasciato Bettye Lavette tre anni fa con “Blackbirds”, ennesimo bel disco edito da Verve come già il precedente excursus, al solito personalissimo, su alcune pagine dylaniane, “Things Have Changed”. Rieccola sempre in grande forma, come conferma la sua affilata silhouette in copertina, rosso acceso, con questo nuovo “Lavette!”, prodotto, come i due dischi appena menzionati dal batterista Steve Jordan, col quale è evidente sia nata una sintonia particolare. Tanto è vero che l’album esce non più per Verve, bensì per la Jay-Vee, etichetta fondata proprio da Jordan con la moglie Meegan Voss e già casa, ad esempio della collaborazione tra Robert Cray e la Hi-Rhythm (2017).

Sappiamo bene quanto le qualità di interprete della Lavette la rendano in grado di appropriarsi, quasi trasfigurandole, di canzoni di provenienza disparata, posto, beninteso che lei le ritenga adatte a sé. La cosa le riesce, ça va sans dire, anche in questo disco in cui si misura col canzoniere di Randall Bramblett, autore e musicista eclettico, dalle molteplici collaborazioni nell’arco di una carriera quasi cinquantennale che lo ha visto accanto a Sea Level, Steve Winwood, Elvin Bishop, Gregg Allman e molti altri. A dire il vero già qualche anno fa su “Worthy”, Bettye aveva inciso un pezzo di Bramblett, “Where A Life Goes”, tuttavia nulla lasciava presagire che avrebbe attinto dal cantautore georgiano per un intero album.

Jordan ha riunito agli Electric Lady studio un nucleo di ottimi musicisti comprendente, sé stesso alla batteria, Pino Palladino al basso, Larry Campbell e Chris Bruce alle chitarre e Leon Pendarvis alle tastiere, oltre ad una sezione fiati. Ad essi si sono aggiunti ospiti di peso, attenti però a non spostare l’attenzione dell’ascoltatore dalla voce di Bettye. Nel bel rock  di “Don’t Get Me Started”, ecco il grande Steve Winwood all’organo, lui che in gioventù ai tempi dello Spencer Davis Group, incise “Let Me Down Easy”(The Second Album), hit del 1965 della Lavette. Ad essa segue la felina, groovy “Lazy (And I Know It)”, che Lavette canta con una sapidità del tutto personale.

Il disco si muove senza sforzo tra i generi, spostandosi talvolta in territori che Lavette non frequentava, almeno da un po’, pensiamo al funk contagioso di “Mess About It”, il riferimento va diretto ai JB’s, con in più un bel contributo al piano di Jon Batiste. O ancora allo straziante lento conclusivo, “It’s Alright”, con la chitarra steel di Campbell e un finale gospel, grazie anche alle voci di Cindy Mizelle e Tawatha Agee. Ovviamente sono molto d’impatto anche le ballad, una su tutte la minimale “Concrete Mind” o i sapori country/soul di “In The Meantime”, impreziosita da un assolo di John Mayer.

Forse non è casuale il punto esclamativo del titolo. Costituisce una rivendicazione orgogliosa e insieme un riconoscimento del posto che le spetta nel mondo della musica. Lei che, come canta in un altro pezzo, non ha mai avuto un piano B, ha infine ottenuto da colleghi e appassionati il rispetto e la considerazione che a gente meno talentuosa è stato magari elargito decadi fa. E questa terza collaborazione con Jordan ne è ulteriore, ottimo, suggello.

Matteo Bossi

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