È l’esperienza, che fa di Nick Moss un bluesman, anziché un mero interprete del suono di cui anche il nuovo disco ne offre autentica testimonianza: ultimo di una carriera che, sembra ieri, ma è ormai trentennale.
L’essere nato a Chicago infatti, non potrebbe che risultare una circostanza fortuita, a fronte di un’altra serie di contingenze per cui il corpulento chitarrista, classe 1969, ha accolto di buon grado le occasioni che gli son capitate nella vita, facendosi lui stesso il portavoce di una scena vissuta in coda, con alcuni grandi “vecchi”, per cui ora diviene pure lui depositario di una tradizione che non si esaurisce, ma si perpetua nel tempo.
È quella del Chicago – sound e della Legendary Blues Band di Willie “Big Eyes” Smith, per esempio, con gli altri “ex” di Muddy Waters, tra cui si ritrovò giovanissimo bassista (giusto in tempo per il loro ultimo album – “Money Talks”, 1993 – aggiungeremmo noi); o per un triennio al soldo di Jimmy Rogers, imbracciando già la beneamata sei corde, con la quale consolida anche la maturità artistica, a renderlo pure un apprezzato produttore.
Aveva inaugurato il ruolo con la creazione della sua etichetta Blue Bella, Moss, e ai tempi del suo primo “Live At Chan’s”, 2006, anche con Magic Slim, peraltro; mentre i suoi Flip Tops si trasformavano, a scanso di equivoci, nella Nick Moss Band.
Nick Moss: Get Your Back Into It!
È con loro che approda così anche a quest’ultimo “Get Your Back Into It”, mentre nell’alternanza degli armonicisti (che stanno al Chicago – blues come le api al miele) viene ad incrociare stavolta il percorso di Dennis Gruenling, condividendo una parte del loro cammino artistico (esauriente la spiegazione, a proposito, nell’intervista).
Il risultato è un disco che non sgarra alcunché dal suono dei padri, il marchio dell’alligatore a sancirne il sigillo di Bruce Iglauer, da qualche tempo a questa parte (“The High Cost Of Low Living”, 2018). E come un navigato erede del suono di un secolo, Moss & band rievoca atmosfere d’anni Cinquanta, già nel design della copertina stessa come fosse una locandina del Summer Jamboree di Senigallia, un tratto comune l’ironia che li distingue, divertendosi, ma non per questo senza prendersi sul serio, nell’intenso approccio musicale.
Quattordici tracce dallo spirito swingante, e Moss ne ha ben donde quando dice: – “Quando ci riuniamo, la musica prende il sopravvento. Non possiamo trattenerci e l’energia si riversa fuori. Ci lasciamo trasportare e il pubblico si lascia trasportare con noi” -.
Con lui, a lasciarsi trasportare, oltre all’amico Gruenling (a cui va la firma su un paio di tracce) il basso di Rodrigo Mantovani, che è anche co-produttore, i “tasti” di Taylor Streiff e le “pelli” di Pierce Downer.
Ma quando ascoltiamo il groove comune a tutti i pezzi, già ci colpisce in apertura (“Bait In The Snare”) la presenza del sax, di Gordon Beadle, comprimario in questa track – list che pare una serata danzante; assieme, l’organo di “Brother” John Kattke per la portante “Get Your Back Into It”.
Una potenza di fuoco che si rende chiara, non serve neanche l’ombra del grande Moss e quando anche l’apporto autoriale di Gruenling si aggiunge, con le sue “Man On The Move” o “Your Barks Is Worse …”, nulla si disperde dell’energia prorompente di questi blues elettrici vecchia maniera.
Quando attacca “Living In Heartache” capiamo che il vento di Chicago soffia ancora, e spazza via ogni perplessità, persino su quelle strumentali buone per dei titoli di coda, “Out Of The Woods” o “Bones Cantina”.
Persino l’incedere funk di “The Solution” ci conferma che il Chicago – blues è vivo, e lotta insieme a noi. Big “Moss” man, non c’è che dire!
Matteo Fratti
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